La Barbagia profonda, i pregiudizi, e i politici che fanno la caricatura del balente

Uno degli aspetti più sorprendenti della polemica scatenata da quel “Non sale dalla profonda Barbagia il racconto del maltrattamento dei piccoli alunni. Tocca Roma, Grosseto, Pisa, Bolzano” che il giornalista di Repubblica Corrado Zunino ha infelicemente inserito nel suo articolo sulle violenze nell’asilo di Milano, è che nessuno si sia ricordato de “Le bacchette di Lula”.

Lula è un paese della Barbagia. All’inizio degli anni Cinquanta un giovane maestro elementare, Albino Bernardini, fu assegnato a quella sede. E restò molto sorpreso quando i suoi alunni si presentarono in classe con le bacchette che lui avrebbe dovuto utilizzare per punirli. I genitori erano d’accordo. L’uso della violenza rientrava nelle tradizioni educative del paese. Meglio un po’ di bacchettate da piccoli, che il carcere da grandi. Albino Bernardini intitolò così – “Le bacchette di Lula” – un libro che è diventato un classico della letteratura sulla scuola.

Evidentemente Zunino non conosce quel libro, altrimenti avrebbe potuto dare una spiegazione “colta e informata” della sua gaffe. Per esempio avrebbe potuto dire che quel suo richiamo alla “profonda Barbagia” si fondava sulla memoria del passato. Un errore, certo, ma determinato da un anacronismo, non da un pregiudizio. Quella frase, mezzo secolo fa non avrebbe suscitato tutto questo scandalo.

Certo, è sorprendente la resistenza al tempo dei luoghi comuni. Perché se un giornalista scrive una frase come quella en passant, come si fa per le nozioni che si danno per scontate, che si considerano acquisite dal senso comune, significa che questa idea della “profonda Barbagia” persiste. Significa che il giornalista, in altre occasioni precedenti – non in un articolo, ma in una chiacchierata tra colleghi, in una conversazione tra amici – ha usato o sentito utilizzare quello stereotipo senza che la cosa suscitasse alcuna discussione. Diciamo che la gaffe rivela il perdurare dell’esistenza di un certo problema di immagine per la Barbagia. A dispetto di tutti gli ottimi argomenti che la Barbagia ha per sostenere che le cose non stanno più così, che sono profondamente cambiate.

L’altro aspetto sorprendente è la violenza di alcune delle reazioni sarde. La sproporzione tra l’azione e la reazione. Il giornalista di Repubblica ha scritto una sciocchezza (e si è subito scusato, assieme al direttore Mario Calabresi), ma a leggere certi commenti si direbbe che abbia insultato l’intera progenie dei loro autori. Cose come “scribacchino”, “fai pena” “razzismo italiano”, “pappalufrone” (che, spiega l’autore di questo commento, l’ex assessore regionale Luigi Crisponi, corrisponde a “Un incapace, uno senza dotazione cerebrale, un essere inutile”). L’ex governatore Ugo Cappellacci (protagonista nel 2010 della telefonata nella quale, dopo aver promesso delle aragoste a Denis Verdini, affermava che “il vero limite della Sardegna sono i sardi”) giunge alla pretesa ridicolo di un “articolo riparatorio”.

Commenti dai quali emerge davvero qualcosa di profondamente arretrato. Intanto l’abitudine a colpire non l’argomento, ma la persona. A insultare e a offendere un interlocutore che non si conosce nemmeno, escludendo a priori la possibilità di fargli cambiare idea, magari informandolo. Poi questo ritenersi al centro del mondo, incapaci di comprendere che la gaffe di Repubblica sarà rapidamente assorbita nel flusso delle notizie. Ignorando che i lettori hanno capacità di discernimento. E che questa indignazione sproporzionata può diventare addirittura una conferma dei pregiudizi. Si interviene non per ragionare, ma per affermare il proprio sardo-orgoglio ferito. L’orgoglio fiero e cupo del balente da caricatura. Analogo a quello che si manifestò un paio di anni fa quando Pinuccio Sciola avanzò il dubbio che la bandiera dei Quattro mori, con quelle quattro teste mozzate, non fosse il simbolo più adatto per rappresentarci in questa epoca storica. E subì un’incredibile e feroce lapidazione mediatica.

È significativo e allarmante che le dichiarazioni più violente siano venute da esponenti politici. Alcuni dei quali, tra l’altro, non hanno alcun legame con la Barbagia. Se ne fanno “difensori” appropriandosi dello stereotipo della “comunità chiusa”, “suscettibile”, “incapace di sorridere”. E, specularmente, è significativo che le reazioni più meditate, laiche, problematiche, dialoganti, siano venute da chi quella realtà la vive tutti i giorni e la conosce profondamente, come la sindaca di Fonni, Daniela Falconi. O dal sito Barbagia.net. Del quale sottoscriviamo integralmente, facendola nostra, questa considerazione: “Dai su, facciamo i barbaricini e torniamo a distinguere ciò che veramente è dannoso per noi dalle fesserie che crediamo ci possano far male ma che in realtà sono solo un fuoco di paglia”.

G.M.B.

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