Il Consiglio regionale teme lo tsunami rosa

Domani il Consiglio regionale riprende l’esame della nuova legge elettorale, quella che servirà a scegliere – ormai tra meno di un anno – il nuovo ‘parlamento’ dei sardi. L’unica certezza assoluta è che il numero dei consiglieri calerà drasticamente: dagli attuali 80 a 60. Le altre questioni sono aperte, anche se su alcuni punti – per esempio l’eliminazione del famoso ‘listino’, cioè della dota di consiglieri eletti automaticamente assieme al governatore – la convergenza è ampia.

Un confronto condizionato dalla paura. La stessa paura che con tutta probabilità farà andare avanti questa legislatura fino a ‘scadenza naturale’ nonostante le crescenti difficoltà della maggioranza. Paura, per molti consiglieri, anche tra i più autorevoli, di perdere il posto (e l’indennità). Paura delle principali forze politiche di veder messi a rischio gli equilibri interni. Una paura che il clamoroso successo del Movimento 5 Stelle (primo partito dell’Isola alle Politiche della scorsa settimana) ha trasformato in incubo. E che ha messo ancora più nell’angolo un aspetto fondamentale della riforma: realizzare un effettivo equilibrio nella rappresentanza tra donne e uomini. Un aspetto fondamentale perché – come spiega il costituzionalista Andrea Deffenu – una nuova legge che non prevedesse meccanismi idonei a garantire questo equilibrio sarebbe incostituzionale.

C’è una sorta di imbarazzo nelle forze politiche ad affrontare con chiarezza la questione. Nei giorni scorsi si è anche  fatta strada la preoccupazione che venga alla fine definita attraverso il voto segreto. Una modalità che consente di affossare, nel segreto dell’urna, le norme che è più difficile contestare pubblicamente. A parole, infatti, tutti sono d’accordo sulla necessità di garantire un effettivo equilibrio nella rappresentanza. A parole.

Fino a ora le polemiche pubbliche attorno alla legge elettorale hanno riguardato altri aspetti della riforma. Il sardista Paolo Maninchedda, per esempio, si è dimesso dalla presidenza della commissione Autonomia perché dal testo sono state stralciate le norme sull’ineleggibilità, le incompatibilità, il conflitto di interessi riducendo la legge elettorale , ha detto,”a un mero meccanismo di calcoli di seggi”.

E in effetti sono questi aspetti al centro del confronto. Nell’ultima riunione del consiglio dedicata alla legge elettorale, le tensioni sono esplose in seguito alla presentazione (da parte dei capigruppo di Pd e Pdl) di un emendamento che elevava dal 3 al 4 per cento la soglia di sbarramento. Una norma che, com’era inevitabile, ha scatenato la reazione dei partiti più piccoli che hanno accusato i “grossi” di volersi accordare per farli fuori.

Di certo il ‘riequilibrio’ non viene da sé, ma sono necessarie norme (come quella sulla “doppia preferenza di genere”) che lo sostengano. E non solo perché lo impone la legge costituzionale che ha ridotto il numero dei consiglieri. Lo suggerisce anche l’esperienza più recente. quella del Lazio, per esempio. Nella precedente assemblea le donne erano 13 su 70. Nella nuova (eletta la scorsa settimana in concomitanza con le Politiche) la situazione è rimasta proporzionalmente quasi identica: sono 10 su 70. E la metà sono state elette nel listino del governatore vincente. Col voto di preferenza, il centrosinistra non ne ha eletto nemmeno una. Quanto al centrodestra, il Pdl non ha nel Lazio nemmeno una donna-consigliere e, in tutto il centrodestra laziale, ce n’è una sola (eletta nella Destra di Storace). A evitare un consiglio regionale quasi tutto maschile, ha provveduto il Movimento 5 Stelle che, su sette rappresentanti, ha eletto ben quattro donne.

Difficile immaginare che in Sardegna, in assenza di norme chiare, le cose andrebbero in modo diverso. Come ricordano Lilli Pruna e Sabrina Perra, ci sono voluti quarant’anni (e ancora una volta Beppe Grillo) per avere per la prima volta una donna sarda eletta al Senato.

N.B.

 

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