La parità non può stare sulla luna

Sono trascorsi quasi 44 anni dal primo allunaggio morbido (si chiama così), cioè da quando il primo uomo è sbarcato incolume sulla luna. Era il 20 luglio del 1969. Abbiamo invece dovuto attendere fino al 26 febbraio del 2013 per vedere la prima donna sarda eletta al Senato, e abbiamo dovuto aspettare che arrivasse un comico genovese a candidarla. Non c’è male come doppia velocità del progresso: la scienza e la tecnologia avanzano velocemente, anche grazie alle donne impegnate nella ricerca, mentre la politica arranca e spesso arretra, e l’esclusione ampia delle donne è uno dei tratti più netti di questa arretratezza (oltre che una delle sue cause).

In questi giorni la Sardegna ha l’opportunità di scegliere le misure idonee a favorire, dalle prossime elezioni regionali, la parità di accesso delle donne alle cariche elettive. Il Consiglio Regionale, infatti, è chiamato ad approvare una nuova legge elettorale a seguito della modifica dell’art. 16 della legge costituzionale n. 3 del 1948, lo Statuto Speciale per la Sardegna, in base alla quale l’Assemblea regionale sarà composta da 60 consiglieri e dovrà avere una equilibrata rappresentanza dei generi. Non si tratta di un mero auspicio ma di un principio irrinunciabile, e i consiglieri regionali in carica sono chiamati a renderlo effettivo attraverso una nuova legge elettorale.

Nella sua attuale composizione, il Consiglio Regionale della Sardegna ha solo 8 donne consigliere su 80 consiglieri: il 10 per cento esatto. Una quota bassissima, che nella storia della Sardegna non è mai stata superata di molto. In questa legislatura una donna è stata eletta per la prima volta (inutile dirlo, ma speriamo che non sia l’ultima) Presidente del Consiglio Regionale; in compenso abbiamo avuto una Giunta azzerata dal TAR perché composta di soli uomini. Il presidente Cappellacci aveva iniziato il suo mandato con una Giunta composta da 8 uomini e 4 donne, cioè un terzo femminile, ma in poco tempo le donne sono sparite, in un carosello incessante di sostituzioni (26 assessori nominati nei primi 26 mesi) proprio nel corso della crisi più nera che l’Isola abbia mai attraversato.

Dover sollecitare ancora con forza nel 2013 l’adozione di misure adeguate a conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei generi nelle istituzioni politiche significa ratificare il fallimento dei partiti, che si sono dimostrati ostinatamente incapaci di costruire condizioni di parità per uomini e donne. Oggi non possono più sottrarsi a questo compito di adeguamento della legge elettorale in termini di parità di genere. Possono dimostrare di volere cogliere il significato di questo momento storico rispondendo alle attese delle cittadine e dei cittadini della Sardegna che aspirano alla effettiva rappresentanza democratica di un popolo che per quasi il 51 per cento è costituito da donne.

La composizione per sesso della popolazione sarda suggerisce che l’equilibrio della rappresentanza dei generi nell’Assemblea regionale deve corrispondere al 50 per cento, e dunque a 30 donne e 30 uomini. La popolazione sarda si compone per metà di donne e per metà di uomini: spetta dunque ai partiti e ai singoli politici dimostrare perché la parità di genere nelle istituzioni non sia giusta e non serva perseguirla. Ciò che va spiegata e argomentata con serietà, infatti, è la resistenza della politica ai principi sanciti dalla Costituzione, non la richiesta espressa dalla società che questi principi vengano finalmente applicati.

L’obiettivo della parità di genere nelle istituzioni politiche non si conseguirà in una sola legislatura, naturalmente; tuttavia, le misure da adottare devono essere capaci di raggiungere progressivamente questo obiettivo, rendendo possibile un significativo cambiamento già dalle prossime elezioni. Ciò significa che è opportuno adottare un insieme di misure, cogliendo il meglio della legislazione già in vigore in altre regioni italiane. Non solo quindi la doppia preferenza di genere, cioè l’obbligo per l’elettore o l’elettrice che vogliano indicare una seconda preferenza di sceglierla del genere diverso rispetto alla prima (come prevede la legge della Campania), ma anche l’obbligo per tutte le liste di alternare il nome di un uomo e di una donna (come prevede la legge del Veneto).

Non basterà comunque una nuova legge elettorale ad allargare la partecipazione politica delle donne e la loro presenza nelle istituzioni. I partiti e tutte le organizzazioni politiche devono ricostituirsi a partire da un impegno paritario di uomini e donne, che significa condivisione del potere di fare le scelte politiche, abbandonando le pratiche basate sulla dedizione e la subalternità richieste alle donne e sul potere gestito dagli uomini, sullo scambio dell’obbedienza delle donne con la promessa di un riconoscimento futuro che non arriva mai, sulla ricerca straordinaria di donne nella “società civile” ad ogni chiamata alle urne per sopperire alla loro esclusione ordinaria. I partiti sono troppo maschili, la politica è poco femminile: i risultati disastrosi sono sotto i nostri occhi.

Lilli Pruna e Sabrina Perra

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