Punta Giglio, restauro in barba a vincoli ambientali e valori storici

L’ultimo capitolo dell’inchiesta di Sardinia Post su Punta Giglio inizia con dei ringraziamenti: in primis, a Giovanni Chessa, portavoce del sindaco di Alghero, Mario Conoci, per non averci permesso di parlare con lui. In secondo luogo, al presidente dell’Azienda speciale parco di Porto Conte, Raimondo Tilloca e al direttore Mariano Mariani, per aver fatto recapitare direttamente al nostro direttore una lettera di replica. In terzo luogo, all’assessore alla difesa dell’ambiente della Regione Sardegna Gianni Lampis, che dopo oltre due settimane di attesa non ha proferito parola.

In questa cornice abbiamo, puntata dopo puntata, dato voce ai vari protagonisti della vicenda, quelli che hanno voluto parlare. È il turno dell’Agenzia del demanio, che tramite una sua portavoce ha dichiarato che è stato “messo a bando il bene di Punta Giglio, definendo espressamente il contesto particolare in cui esso insiste (in termini di vincoli e tutele), precisando (anche nella successiva concessione) che qualsiasi progetto passasse al vaglio degli enti competenti. La riqualificazione del bene, proprio in ragione di queste precarie condizioni (la falesia a rischio frane ndr), costituisce un valore aggiunto per il recupero dell’immobile e per la pubblica fruizione delle strutture in sicurezza”. L’Agenzia si è espressa di fatto come un ente super partes che rimanda agli ‘enti preposti’ la tutela dell’area e che conserva la proprietà del bene.

Effettivamente, alla base del contestato bando ‘Cammini e percorsi’ c’era l’idea di un progetto di recupero e riqualificazione di beni abbandonati e in degrado. E questo nessuno, neanche i più critici, l’ha messo in discussione. La problematica riguarda piuttosto – oltre alle contraddizioni amministrative messe in luce dal Comitato di Punta Giglio nelle puntate precedenti – la qualità e le modalità del restauro, in più l’aspetto ambientale. Ne abbiamo discusso con il professor Piero Sanna, docente di storia moderna in pensione e tra i promotori dell’iniziativa di denuncia presentata alla Commissione europea con l’avallo di diversi accademici, professori universitari, personalità e professionisti.

“Debbo dire – ha esordito Sanna – che da storico sono rimasto sconcertato dal percorso intrapreso. Il restauro sarebbe dovuto essere conservativo, non trasformativo. Qui si è voluto far posto a una cosa impropria, che ha un impatto negativo sull’ambiente. Lo dice un decreto del Ministero dell’ambiente del maggio 2021: l’area è di assoluta riserva e protezione. Ma il vero nodo della questione è che si confonde il parco con le zone speciali di conservazione. Stiamo parlando del più alto livello di protezione”.

Invece sono stati realizzati dei lavori, con annesse attività di ristorazione e pernottamento, in una zona dove la tutela è integrale. “Chiaramente non si è voluta preservare un’area che ha un valore di pregio straordinario – continua il professore -. Come si può inserire un’attività di ristorazione ai margini di una zona protetta anche a livello europeo? Nella denuncia presentata alla Commissione europea scriviamo che la ristorazione, inoltre, introduce in quell’ambiente uno squilibrio tale per cui si generano colonie di ratti, nemici dell’avifauna. Non a caso abbiamo avuto anche l’appoggio della rete BirdLife Europe. Ancora, è un parere dell’Ispra che l’illuminazione e il pernottamento siano fattori di disturbo e non mitigabili”.

C’è un ulteriore elemento: “Si è perso di vista il valore storico e architettonico della casermetta e soprattutto della storica cisterna per la raccolta della acque piovane e di condensa, pezzo forte di una corretta valorizzazione dei beni del museo a cielo aperto di alto valore didattico-espositivo”. Ma potrebbe esserci una possibilità: “la progettata irreversibile manomissione della storica cisterna non è stata ancora perpetrata e può essere ancora scongiurata”, conclude Sanna.

È chiaro che la vicenda, in tutta la sua complessità per via degli enti coinvolti, e con evidenti contraddizioni e polemiche, non finisce qui. Eppure ha avuto il merito di sollevare un dibattito a più livelli e su più fronti, che ha coinvolto la cittadinanza attiva, stimolata a riflettere su questioni che appartengono proprio alla collettività: l’ambiente, in primis, come bene comune, e lo sviluppo locale come strumento degli attori locali per favorire imprenditorialità, turismo sostenibile e accessibile. 

Laura Fois

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