Carcere di Uta. 2/4 VIDEO William Muscas. Fine pena: 2020

Cagliaritano, 30 anni, è padre di due bambini piccoli. Dice: “Ho imparato che la legge non è uguale per tutti”.

William Muscas (nella foto-ritratto di Roberto Pili) ha 30 anni. È di Cagliari. Ha una moglie e due figli piccoli. Racconta di Uta, ma anche di Buoncammino in un’intervista collettiva autorizzata a Sardinia Post dal ministero della Giustizia (qui tutti i link di questa seconda puntata dell’inchiesta, qui invece la prima).

Da quanto tempo sei qua?

Da quattro mesi?

Fine pena?

Agosto 2020.

Cosa hai imparato qui dentro?

Ho imparato che la legge non è uguale per tutti. Ci sono tante storie di persone innocenti e poi scopre che non hanno commesso nulla.

Dopo il carcere c’è un futuro?

Spero non quello dei clochard.

Il tuo titolo di studio?

La quinta elementare.

Chi viene a trovarti?

La mia famiglia.

Quanto durano i colloqui?

Un’ora.

Quante volte al mese?

Quattro.

Cosa si fa in tempo a dire?

Faccio in tempo a dare due baci ai bambini. Con i nostri familiari ci fanno stare troppo poco. Prima i colloqui duravano due ore. Poi li hanno ridotti.

Sei mai stato a Buoncammino?

Sì.

Com’era?

Bruttissimo, stavamo 24 ore chiusi. Qui le stanze sono migliori, più ordinate, più pulite. Abbiamo la doccia in camera. A Buoncammino però potevamo vedere il porto e le persone che passavano strada.

Qui a Uta per la gran parte dei detenuti c’è il regime delle celle aperte. Tu ne usufruisci?

Io sì?

Come funziona?

Possiamo stare negli spazi comuni due ore la mattina e quattro la, sera dall’una alle cinque.

In questi tempo ti sei fatto amici?

Sì, parecchi.

La solidarietà tra detenuti esiste?

Certo.

Gli agenti vi trattano bene?

A volte non ci danno quello che ci spetta.

Tipo?

Non è che ci rispondono subito.

Dà fastidio?

Beh, siamo nervosi qui dentro.

È vero che a volte tra detenuti si fa a botte?

Se qualcuno sbaglia con noi, è normale. Un disguido può capitare.

Hai mai comunicato con l’alfabeto degli accendini?

Sì, a Buoncammino, per parlare tra noi, quando magari bisognava fare silenzio.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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