Carcere di Uta. 2/1 Se questa è vita: detenuti in 4 metri quadrati

Carcere di Uta, 11,30. Una guardia dice: “Li facciamo entrare?”. È l’incontro di Sardinia Post con quattro detenuti modello.

Carcere di Uta, ore 11,30. “Li facciamo entrare?”, dice un agente. L’appuntamento con i detenuti – scelti dalla Direzione – è in una stanza al piano terra. Paolo Campus, Dante Lancioni, William Muscas ed Elton Ziri prendono posto sulle sedie rosse da ufficio sistemate a semicerchio davanti a una scrivania. Prima dell’intervista con Sardinia Post, hanno firmato una liberatoria per autorizzare foto e riprese video, e assumersi – vuole il protocollo penitenziario – la responsabilità di ogni dichiarazione. Compreso l’incipit che non è certo un omaggio all’Italia dell’articolo 27, quell’articolo che doveva essere un baluardo di civiltà. “Le pene – è scritto nella Costituzione – non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. Ma dalla quotidianità dietro le sbarre viene fuori l’esatto contrario. “Nel nostro Paese – dicono i quattro – si sta attenti agli animali maltrattati, l’uomo invece viene fatto vivere in pochissimi metri quadrati”.

Paolo (qui l’intervista singola), Dante (ecco cosa ha detto), William (qui le sue parole) ed Elton (ecco il racconto) sono i detenuti che a qualsiasi amministrazione penitenziaria piacerebbe esibire. Cattivi che diventano buoni, per dirla con le categorie della morale. ‘Trofei’ di quella rieducazione riuscita pur vivendo in una cella che ti permette tredici soli passi alla volta, per altrettanti metri quadrati, in uno spazio da dividere in tre, adesso che va bene, adesso che Uta è solo un carcere “affollato, ma non sovraffollato”, come ha raccontato il direttore Gianfranco Pala. Diversamente, i letti potranno diventare anche quattro.

C’è una sola regola da rispettare nell’intervista (sopra alcuni momenti nelle foto di Roberto Pili): i detenuti non possono parlare del reato che li ha portati dentro. Lo spiega all’inizio Giuseppina Pani, responsabile giuridico-pedagogico, la capessa degli educatori. Il divieto non è una questione di privacy, ma di percorso terapeutico: sul passato c’è già stata quella che tecnicamente si chiama revisione critica. Ovvero, l’ammissione di colpa. Quasi una vita precedente, in attesa della prossima, fuori dal carcere, se per caso ci sarà. Se la condanna lo consentirà. Ma al netto del paletto, per ammissione degli stessi detenuti, è su quel prima che “la mente torna di continuo”, specie quando alle cinque e mezzo di sera, l’ora della cena, tutto si ferma in carcere, dopo la colazione con caffellatte e fette biscottate servita dalle 7 alle 7,30. Il pranzo, invece, è dalle 11,30 alle 12.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

LEGGI ANCHE: 2/6 Lo spaccio per i detenuti: vitello a 17 euro e farina vietata

1/1 Suicidi e autolesionismo. Il direttore: “Solo dimostrativi”

3/1 Alessandra Uscidda, comandante dei poliziotti penitenziari. “Botte tra agenti e detenuti? Falso”

3/2 Geografia del carcere: nei piani alti i detenuti ‘bravi’

4/1 L’educatrice: “Per i tossicodipendenti serve un’alternativa”

4/2. VIDEO Patrizia Giua: “Prima di stare qui non mi volevo bene”

Diventa anche tu sostenitore di SardiniaPost.it

Care lettrici e cari lettori,
Sardinia Post è sempre stato un giornale gratuito. E lo sarà anche in futuro. Non smetteremo di raccontare quello che gli altri non dicono e non scrivono. E lo faremo sempre sette giorni su sette, nella maniera più accurata possibile. Oggi più che mai il vostro supporto è prezioso per garantire un giornalismo di qualità, di inchiesta e di denuncia. Un giornalismo libero da censure.

Per ricevere gli aggiornamenti di Sardiniapost nella tua casella di posta inserisci la tua e-mail nel box qui sotto:

Related Posts
Total
0
Share