L’EDITORIALE. Il mistero politico del dirigente-imputato e l’attesa del paradiso terrestre

La vicenda della nomina di un imputato a direttore generale dell’Ente foreste sicuramente – come faranno osservare gli innumerevoli teorici del benaltrismo che popolano l’Isola – non è la principale emergenza della Sardegna. Siamo d’accordo. Si tratta infatti di un aspetto di un’emergenza ben più ampia, un’emergenza nazionale: il progressivo venir meno di regole condivise e l’idea che chiedere il loro rispetto sia una forma di boicottaggio contro la “politica del fare”.

Come spiega Pablo Sole nella sua inchiesta, la persona prescelta – tra una ventina di candidati, presumiamo non rinviati a giudizio – a settembre sarà processata per reati contro la pubblica amministrazione. In attesa del processo assumerà un ruolo di comando in un ente con 7000 dipendenti e un bilancio di decine di milioni di euro. Naturalmente ci auguriamo che il dottor Casula venga assolto con formula piena, ma nella malaugurata ipotesi che fosse condannato cosa farà la giunta regionale? Attenderà l’appello e poi la Cassazione?

Abbiamo atteso più di ventiquattro ore prima di pubblicare la notizia, non solo per verificarla, ma perché ci illudevamo di ottenere qualche spiegazione. Che non è arrivata. Abbiamo allora provato a immaginare quale potesse essere questa spiegazione. L’unica che ci è venuta in mente è che la persona prescelta non abbia eguali. Che sia, in sostanza, l’unica persona in grado di ricoprire quel ruolo. Se questa spiegazione è vera dovremmo assistere, nel volgere di pochi mesi, alla risoluzione di tutti i problemi non solo dell’Ente, ma proprio delle foreste sarde e forse anche di quelle equatoriali. Prepariamoci fiduciosi al paradiso terrestre.

A dire il vero c’è un’altra possibilità. E cioè che nel difficile gioco di equilibri politici che sostiene la giunta regionale, la nomina del dirigente rinviato a giudizio derivi da una di quelle richieste alle quali non si può dire no. Così ci si rassegna a compiere un gesto che non piace perché il non compierlo potrebbe produrre un danno ben maggiore.

Ma il punto è proprio questo: la valutazione del danno. Che dovrebbe essere fatta dal centrosinistra sardo tenendo conto di alcuni dati di fatto. Il primo è che le elezioni sono state vinte per il rotto della cuffia e per una combinazione di circostanze fortunate: la presenza di una lista che ha tolto voti al centrodestra e l’assenza del Movimento 5 Stelle. Che, immaginiamo, oggi stia festeggiando la nomina del dirigente-imputato perché dà un nuovo formidabile argomento alle tesi secondo la quale “sono tutti uguali”.

Noi siamo ancora convinti di no. Per questo la decisione ci sconcerta e ci allarma. È necessario spiegarla. E, forse, è anche necessario chiarire se esiste ancora un limite invalicabile oltre il quale le esigenze della politica politicante non possano andare. A noi pare che quel limite esista e che in questo caso sia stato ampiamente superato.

G.M.B.

 

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