Poveri da morire. Tutti i numeri “sardi” di una crisi da paura

Il presidente Cappellacci ha iniziato la sua campagna elettorale indicando i nemici della Sardegna, di cui raccomanda di non avere paura: lo Stato e l’Europa. Mostra dunque di essere lontanissimo e del tutto ignaro della gravità delle condizioni quotidiane di vita della popolazione, il cui nemico principale non è né lo Stato né l’Europa: è la povertà, e c’è da averne paura.

Tra qualche mese compiremo 5 anni dall’inizio della crisi peggiore della nostra storia, e non è ancora finita. Non si era mai vista una crisi così lunga. E’ sempre più profonda, perché dura da così tanto tempo da avere consumato ogni genere di risorse familiari, individuali e collettive, materiali e immateriali: dai redditi ai risparmi, dalle proprietà ai piccoli ricordi di famiglia, dalle competenze professionali alla fiducia, dalla solidarietà ai diritti. La Sardegna è povera da far paura.

Più di un quarto delle famiglie sarde vive in condizioni di povertà. Sono 145.000, cui se ne aggiungono altre 171.000 in condizioni di deprivazione, cioè talmente vicine alla soglia di povertà che una spesa imprevista di modesta entità potrebbe farle diventare povere. In totale sono quasi 320.000 famiglie, che corrispondono a non meno di 450.000 persone. Come se l’intera area vasta che circonda Cagliari ad ampio raggio, da Monserrato a Pula, fosse abitata solo da persone povere o in grave difficoltà. Si possono vedere ovunque, malgrado la loro dignità: le persone che fanno fatica ad affrontare i problemi quotidiani si incontrano in ogni parte della città e dei paesi, basta vederle.

I disoccupati sono 109.000, la cifra più elevata di sempre, ma altre 105.000 persone cercano un lavoro o vorrebbero lavorare, perché ne hanno bisogno ma anche diritto. Nell’insieme, indicano che in Sardegna mancano almeno 200.000 posti di lavoro. Ma non basterebbero, perché questa cifra non tiene conto dei lavoratori e delle lavoratrici in cassa integrazione straordinaria e in deroga, che aumentano continuamente e oscillano intorno ai 20.000, ma secondo le organizzazioni sindacali nel 2013 potrebbero arrivare a 30.000. Si stima che occorrano non meno di 300 milioni di euro per coprire i costi degli ammortizzatori sociali in questo quinto anno di crisi economica: sono cifre pazzesche, mostrano che siamo precipitati in una spirale perversa di assistenza senza occupazione da cui i lavoratori e le lavoratrici coinvolti hanno il diritto di essere liberati attraverso un lavoro. E’ una spirale da spezzare, perché alimenta la povertà delle famiglie destinando quantità crescenti di risorse pubbliche per sussidi insufficienti, sottraendo queste risorse ad investimenti che producano occupazione. In questi quattro anni dolorosi la Giunta regionale è rimasta a guardare, senza fare neppure un minimo sforzo oltre il dovuto (che consiste semplicemente nel firmare gli accordi per la cassa integrazione) per tentare di costruire qualche opportunità di lavoro dignitosa.

I pensionati (di vecchiaia e anzianità) sono 250.000, un terzo non raggiunge i 1.000 euro mensili di pensione. Per molte famiglie la pensione di un componente rappresenta il reddito principale, in altre rappresenta l’unico reddito. Ma non abbiamo perduto solo redditi, retribuzioni e lavoro. Abbiamo perduto istruzione e non è una perdita recuperabile, come è invece il reddito. In Sardegna oggi c’è la quota più elevata di giovani che abbandonano prematuramente la scuola: il 25% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha lasciato la scuola senza avere conseguito un diploma o senza avere una qualifica professionale. Si tratta di circa 30.000 giovani, quasi nessuno di loro potrà recuperare l’istruzione perduta. Siamo anche tra le ultime regioni italiane per livello di competenza dei 15enni (sia nella lettura che in matematica), e questo significa che anche una larga parte dei ragazzi e ragazze che studiano non è in condizioni di apprendere e di sviluppare le competenze di base come in altre regioni.

Abbiamo perso anche un po’ di futuro: rispetto al 2008, l’anno in cui la crisi ha mostrato i primi effetti pesanti sull’occupazione, in Sardegna ci sono 2.650 bambini e adolescenti in meno (da 0 a 14 anni), ma anche quasi 12.000 giovani in meno tra i 15 e i 24 anni. Il tasso di fecondità dell’isola è il più basso in Italia con soli 1,14 figli per donna. Non si mettono al mondo facilmente, i figli, in una regione tanto impoverita. Ma senza una riproduzione sociale normale la nostra popolazione è destinata a ridursi e a invecchiare, ripiegandosi in sé stessa e perdendo progressivamente le energie necessarie alla società.

Una povertà tanto diffusa e persistente accompagnata da un impoverimento generale della società deve fare paura alla classe politica che governa. I suicidi di questi ultimi giorni non sono che il grido di dolore più alto, la disperazione più estrema tra tante difficoltà ordinarie senza speranze. Non saranno gli slogan della campagna elettorale a ridare speranze e a incoraggiare l’impegno di tutti per migliorare le condizioni di vita, a cominciare da quelle di chi sta peggio. Sarà necessario uno slancio progettuale esemplare, alto, straordinario e umanissimo.

Lilli Pruna

 

 

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