Servitù militari, le parole e la realtà: ecco i beni in mano alla Difesa

“Fiumi di parole”, cantavano nel lontano 1997 i Jalisse a Sanremo vincendo il Festival. Non certo lo stesso risultato ottenuto dai politici regionali dal 2008 ad oggi che, con accordi, protocolli e intese, strombazzate ai quattro venti, hanno più volte annunciato una forma di ‘demilitarizzazione’ della Sardegna, con il ritorno di ampie fette di territorio alla collettività solo in parte realmente realizzata. È proprio partendo dall’accordo firmato il 28 marzo del 2007 dall’allora governatore sardo, Renatu Soru e dal sottosegretario alla Difesa, Emidio Casula, che Sardinia Post ha cercato, con non poche difficoltà, di tracciare una mappa, il più possibile aggiornata dei beni del Demanio militare passati alla collettività e quelli invece che, nonostante gli accordi e i fiumi di parole spesi in questi anni, sono ancora sotto l’ala della Difesa.

La lista di beni è stata stilata tenendo come linee guida i due elenchi dell’accordo del 2008, cioè “beni dismissibili nell’immediato” e beni per i quali era necessario prima riallocare personale militare e attività che venivano eseguite all’interno: gran parte degli stabili, degli alloggi, dei magazzini del primo elenco sono tornati in mano al Demanio, del secondo invece, tutto o quasi è rimasto alle forze armate. Le promesse fatte erano diverse.


Nel 2008 viene annunciato l’accordo Soru-Casula. “Il ministero della Difesa, nel riconoscere che la Sardegna è la Regione italiana dove insistono, in percentuale più Servitù militari, conferma il suo fermo intendimento – sottolineava Casula – nel procedere in un regime di reciproca comprensione alla soluzione delle problematiche relative alla riorganizzazione della presenza militare sull’isola”. L’intesa prevedeva la dismissione di 43 beni senza condizioni e di altri 6 con alcuni precisi impegni da parte della Regione. Tutti i beni erano stati inseriti in due elenchi dettagliati.

“Un altro importante passo per la restituzione ai sardi di quello che gli appartiene”, aveva sottolineato Renato Soru, esprimendo soddisfazione per l’accordo che aveva tra i punti principali la dismissione e cessione alla Regione della quasi totalità dei beni militari a La Maddalena, cosa poi effettivamente avvenuta. Soru aveva poi sottolineato che la partita importante sarebbe stata quella relativa i poligoni presenti sull’Isola: ”È arrivato il momento – aveva detto – che l’intera comunità nazionale sia chiamata a sopportare il costo di questa attività che non può più gravare solo sulla Sardegna, frenandone lo sviluppo”. Fino al 2017, dopo la dismissione dei beni a La Maddalena con la chiusura anche della base Us Navy e quella di altre strutture “immediatamente dismissibili”, l’accordo non ha trovato piena applicazione e molte aree sono rimaste in mano alla Difesa.

Il 18 dicembre del 2017 un passo in avanti arriva con una nuova intesa tra Regione e Governo sulle servitù firmato dall’allora presidente della Regione, Francesco Pigliaru. “Abbiamo lavorato a lungo e con grande impegno per quest’intesa, che riduce concretamente, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo gli impatti della presenza militare sul nostro territorio”, sottolineava il Governatore dopo aver firmato con la ministra della Difesa, Roberta Pinotti il documento. “È il primo passo concreto, senza alcuna contropartita da parte della Regione, verso il riequilibrio che avevamo chiesto fin da principio. Altri accordi sono stati scritti in passato – aveva sottolineato Pigliaru -. Questa intesa contiene un cronoprogramma che definisce i tempi certi entro i quali le parole devono diventare atti concreti. Da parte nostra, faremo di tutto perché ogni virgola di quanto abbiamo sottoscritto venga realizzata nei tempi più rapidi possibile”. L’accordo prevedeva la cessione della spiaggia di Porto Tramatzu, nel Poligono di Capo Teulada, e delle spiagge di S’Ena e S’Arca nell’area del Poligono di Capo Frasca e la cessione temporanea, tra il primo giugno e il 30 settembre, delle ‘Spiagge Bianche’, sempre a Capo Teulada e della ‘Spiaggia di Murtas’ a Capo San Lorenzo. L’intesa del 2017, direttamente collegata all’accordo del 2008, è stata in gran parte rispettata.

Rimangono però ancora in mano alla Difesa tanti beni che, secondo gli accordi, sarebbero dovuti tornare alla collettività. Per cercare colpe e colpevoli bisogna analizzare il costo di gestione e riqualificazione delle strutture militari per capire il perché la Regione e i Comuni abbiamo scelto di lasciarli in mano alle Forze armate. Costi elevati che probabilmente nessuno è riuscito ad accollarsi e sostenere. Le Forze armate, da parte loro, hanno trasformato gli stabili in nuove caserme, vedi il caso della Ederle a Cagliari, evitando che venissero abbandonate come è invece accaduto per tutta l’area ceduta a Monte Urpinu dall’Aeroinautica che ancora attende una riqualificazione. C’è poi il caso dell‘ospedale militare di via Azuni a Cagliari che sarebbe dovuto passare immediatamente al Demanio: proprio nel corso di questa lunga pandemia è diventato lo snodo fondamentale per tamponi e analisi dei test oltre che luogo in cui sono stati pianificati gli interventi sul territorio da parte dei medici dell’Esercito e non solo. (3-Continua)

Manuel Scordo

manuel.scordo@gmail.com

Ecco nuovamente i due elenchi di beni, nella foto principale quello che resta della Base Usaf del Monte Limbara a Tempio Pausania.

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