Materie prime, costo del grano raddoppiato e in Sardegna i panifici chiudono

Durante le chiusure forzate per la pandemia molti hanno ripreso le antiche abitudini di farlo in casa, un po’ per passare il tempo, un po’ per comodità. Chi non ha cercato tra gli scaffali dei supermercati l’introvabile lievito per poterlo sfornare caldo in casa? Nonostante questo però, un esercito di circa quattromila panettieri in tutta la Sardegna ha continuato a lavorare e sfornare il pane quotidiano. Con le mille difficoltà di un anno complicato, come mai dalle Guerre mondiali, durante le quali il pane scarseggiava davvero. Ma le difficoltà per i circa 930 panifici sardi, tra produzioni di fresco e di tipico, non sono mai finite. Ora l’ostacolo è un andamento dell’economia globale che negli scorsi mesi ha portato i prezzi delle materie prime a schizzare in alto. 

Gian Pietro Secchi, decano dei panificatori sardi e presidente regionale dell’associazione Panificatori in seno a Confcommercio Sardegna, ha pronto l’elenco e dati alla mano, evidenzia le criticità che stanno mettendo in ginocchio alcune imprese. “Le più piccole stanno chiudendo, soprattutto in alcuni piccoli centri – racconta a Sardinia Post – o quelle che non riescono a fare il salto generazionale perché trovare personale nel nostro mestiere è sempre più complicato, è molto duro anche se ben remunerato dal contratto nazionale”.

La corsa alla scorta di grano

La lista comincia dalla materia base: il grano per le farine necessarie, come già evidenziato nel precedente articolo dell’inchiesta. “Il grano tenero che serve per il pane bianco, quello fresco, è passato da 0,40 € a 0,70, quasi raddoppiato – spiega Secchi -. In Sardegna siamo costretti a importare perché non ne produciamo, arriva da Canada, Russia, Polonia e anche Francia”. Nell’Isola, però si produce il grano duro, quello utilizzato per i pani tipici sardi, a partire dal Carasau, poi il Civraxiu e su Coccoi, o anche per la pasta fresca. Ma quello che si produce internamente copre solo il 20 per cento del fabbisogno regionale. Acquistandolo sul mercato, questa volta italiano e in particolare dalla Puglia, in pochi mesi il suo prezzo è passato da 0,55 € a oltre 1 €.

Perché il grano ora costa così tanto? È sempre la legge della domanda e dell’offerta: quando durante la pandemia farine e grano scarseggiavano, le industrie molitorie e i trasformatori sono andati a caccia di tutto ciò che c’era a disposizione sul mercato e, all’arrivo del nuovo raccolto, chi ha potuto, ha fatto scorte nei propri silos. Il grano è una commodity, un prodotto primario o materia prima che costituisce un fondamentale oggetto di scambio internazionale, al pari di petrolio, carbone e caffè. La corsa alla scorta è avvenuta quando il prezzo era ancora fermo a 277 euro a tonnellata per il grano nazionale e a 293 euro per quello estero. Oggi, che il grano scarseggia per effetto dell’aumento dei consumi e dei cambiamenti climatici che stanno devastando i raccolti, quelle scorte valgono molto di più: esattamente +86 per cento rispetto alla quotazione media del 2020 per il nazionale, e +108 per cento per il grano di importazione extra europeo.

Tutti i rincari

L’elenco prosegue con gli aumenti delle bollette dell’acqua, bene di per sé primario ma che per i panificatori diventa basilare. “Ne usiamo moltissima, oltre che per gli impasti anche per le caldaie”, tiene a sottolineare il decano. Da qui all’energia elettrica e al carburante per i macchinari il passo è breve. Rincari di oltre 50 centesimi al litro sul gasolio e conti di elettricità raddoppiati. 

Di recente all’assemblea annuale dell’associazione che si è svolta a Macomer, Secchi aveva puntato il dito contro la classe politica regionale e ribadisce: “Si avverte una totale indifferenza da parte della politica regionale, incapace di capire che stiamo parlando di un settore strategico del sistema produttivo della Sardegna che dà lavoro a 4mila persone con un fatturato di oltre 350 milioni di euro l’anno, per una produzione di circa 110mila tonnellate”. Nonostante l’istituzione della legge 4 che riconosceva il ruolo della panificazione e del pane fresco e la recente vittoria del settore artigiano contro il pane sfuso self service nelle grandi catene di distribuzione, il settore sta subendo gli effetti della crisi economica per la pandemia. Secondo Secchi la Regione potrebbe intervenire per esempio “attraverso un provvedimento che ci consenta di ridurre il costo dell’acqua, oppure studiare un indennizzo per coloro che usano energia elettrica e gasolio. Chiediamo inoltre un intervento urgente sulla formazione professionale poiché diventa sempre più difficile trovare personale qualificato”. “Noi siamo dalla parte dei consumatori – conclude il panificatore nuorese – e vorremmo evitare di far gravare sui prezzi del pane questo sistema di aumenti”.

Marzia Piga

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