Materie prime alle stelle. L’agroalimentare soffre tra rincari e speculazioni

Energia, produzione di microchip, edilizia. Sono i settori maggiormente colpiti negli ultimi mesi dall’aumento dei prezzi di materie prime e combustibili che nella ripresa post pandemia stanno condizionando i mercati internazionali. A sentirne gli effetti è però anche la filiera agroalimentare, soprattutto in vista dei flussi economici previsti sempre per questa parte dell’anno, con le Festività alle porte. Così il prossimo Natale rischia di essere il più ‘salato’ degli ultimi anni sul fronte di prezzi e tariffe, e potrebbe costare agli italiani, a parità di consumi rispetto al periodo pre-pandemia (2019), quasi 1,4 miliardi di euro in più. L’allarme è della Coldiretti nazionale che fa riferimento a uno studio del Codacons.

“L’aumento delle materie prime incide sì direttamente sul costo finale al consumatore dei singoli prodotti”, spiega a Sardinia Post il direttore di Coldiretti Sardegna, Luca Saba. “Ma se ci saranno rincari al supermercato dipende solo in parte dall’aumento delle materie prime. In molti casi si tratterà di crescita ingiustificata, per fenomeni speculativi messi in atto dalle multinazionali dell’alimentare”. Questo perché, nonostante l’aumento del costo di grano, fertilizzanti, mangimi, pezzi di ricambio per i macchinari agricoli, o dell’acqua, “i prezzi alla produzione non sono cambiati”, chiarisce Saba. Semplificando: se un agricoltore sardo paga di più per l’approvvigionamento di alcuni materiali, quel costo non lo carica su chi gli compra le cassette di frutta e verdura. I prezzi di vendita alle catene di distribuzione son gli stessi, e identici dovrebbero essere anche quelli al consumo. 

“Tutto questo deriva dall’effetto che la pandemia sta lasciando nei mercati: produzioni ferme, corsa all’approvvigionamento da parte di alcuni Paesi come la Cina – ricorda il direttore di Coldiretti Sardegna – così per esempio il prezzo del grano è schizzato a 45 euro agli inizi di settembre, nonostante ai nostri agricoltori sia stato pagato 27 o 28 euro. E il guadagno è tutto delle multinazionali”.

Boom dei costi di confezionamento

Ma non è sempre così semplice. Il boom del valore delle materie prime si riflette pesantemente non solo sui costi di produzione del cibo (che di per sé, come visto, non dovrebbero produrre aumenti), ma anche su quelli di confezionamento. Dalla plastica per i vasetti dei fiori all’acciaio per i barattoli, dal vetro per i contenitori fino al legno per i pallet da trasporti e alla carta per le etichette dei prodotti: tutto ciò incide su diverse filiere, dalle confezioni di latte, alle bottiglie per olio, succhi e passate, alle retine per gli agrumi ai barattoli smaltati per i legumi.

Il risultato è che, ad esempio, secondo i calcoli già diffusi dall’associazione di categoria, in una bottiglia di passata di pomodoro da 700 ml, in vendita mediamente a 1,3 euro, oltre la metà del valore (il 53%), secondo Coldiretti, è il margine della distribuzione commerciale con le promozioni, il 18 per cento sono i costi di produzione industriali, il 10 è il costo della bottiglia, solo l’8 per cento è il valore riconosciuto al pomodoro, il 6 ai trasporti, il 3 al tappo e all’etichetta e il 2 per cento è per la pubblicità.

Mangimi e fertilizzanti ai massimi

Tornando ai costi di produzione, i rincari fanno quasi raddoppiare la spesa per le semine con un effetto valanga sulla tenuta dei bilanci delle aziende e per le forniture alimentari in settori deficitari, dal grano alla carne fino al latte. Con l’avvio delle operazioni colturali autunnali gli agricoltori – sostiene Coldiretti – sono costretti ad affrontare rincari fino al 50 per cento per il gasolio necessario per le attività che comprendono l’estirpatura, la rullatura, la semina e la concimazione. Le ripercussioni del balzo dei costi energetici si riflette anche sul riscaldamento delle serre per fiori e ortaggi, o sull’acquisto dei fertilizzanti, delle macchine agricole e dei pezzi di ricambio per i quali si stanno verificando addirittura preoccupanti ritardi nelle consegne.

“L’emergenza Covid ha innescato un cortocircuito sul fronte delle materie prime con rincari insostenibili per l’alimentazione degli animali nelle stalle – continua Saba – dove e necessario adeguare i compensi riconosciuti agli allevatori per il latte e la carne. Le quotazioni dei mangimi, dal mais alla soia, sono schizzati su massimi che non si vedevano da anni”. Per questo, pur non potendo agire direttamente su logiche di mercato internazionale, quello che si potrebbe fare in Sardegna è spingere al consumo dei prodotti locali, interni. Se nell’Isola ci fossero impianti di produzione di mangimi adeguati non saremmo costretti ad importarlo”, chiarisce.

Perché ci si mette pure il caro trasporti, con noli marittimi e costi dei container che sono schizzati ai massimi e pesanti ingorghi e ritardi. Su questo scenario pesa il deficit logistico italiano “per la carenza o la totale assenza di infrastrutture per il trasporto merci che costa al nostro Paese oltre 13 miliardi di euro con un gap che penalizza il sistema economico nazionale rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea”, si legge nell’analisi di Coldiretti. (3 – Continua)

Marzia Piga

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