Latte, il prezzo è destinato a crescere: lo decide il mercato (e non la politica)

È il mercato, bellezza. Si potrebbe racchiudere nella più classica delle citazioni cinematografiche l’andamento del prezzo del latte in Sardegna in questi due mesi trascorsi dall’esplosione della protesta dei pastori, che puntavano a ottenere un compenso più equo per le proprie produzioni.

Dallo scorso febbraio, infatti, il mercato, pur in assenza di interventi istituzionali e forzature  – fino all’approvazione ieri in Senato del ‘decreto emergenze’ che vedrà i suoi primi effetti nei mesi futuri -, ha provveduto da solo a mutare la situazione. Una condizione, come è ormai noto, legata a doppio mandato all’andamento del mercato del Pecorino romano, la produzione principale derivata dal latte ovino venduto dagli allevatori sardi, che nel 2018 secondo il rapporto dell’Oilos (Organismo interprofessionale del latte ovino sardo) ha sfiorato le 34.160 tonnellate, 6.160 in più rispetto a quelle richieste sulle piazze nazionale e internazionale. Eccedenze che hanno fatto saltare il banco.

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Ad agitare gli animi, a febbraio, era stato il crollo del prezzo del latte ovino, precipitato al di sotto di 60 centesimi al litro, Iva compresa (nel mese precedente erano 62), con costi di produzione che per i pastori si aggiravano intorno ai 74 centesimi e con un margine negativo di 14 centesimi al litro. Oggi, dopo due mesi, la situazione sta cambiando e la tendenza è alla risalita.

Nel mese di marzo alcune cooperative hanno pagato il latte ai propri pastori 70 centesimi, sempre Iva compresa, mentre alcuni industriali 74: è l’acconto dei pagamenti per il conferimento del latte dell’annata, che si conclude a novembre con il conguaglio finale di tutto il latte conferito e che in alcuni casi prevede anche un primo acconto nel mese di febbraio di ogni anno. Oggi il prezzo del latte sul mercato Sardegna – dati Ismea per il mese di maggio – è dato a 72 centesimi al litro (Iva inclusa). Va precisato che l’aliquota Iva che viene versata sul latte destinato alla trasformazione è al 10 per cento nei regimi normali, poi gli allevatori per un meccanismo di agevolazioni e compensazioni possono richiederne in molti casi il rimborso all’Agenzia delle entrate, mentre nei regimi forfetari è agevolata.

La richiesta iniziale dei pastori, all’alba delle proteste e degli sversamenti in strada, era stata di un euro al litro più Iva, poi però, al tavolo di Sassari dell’8 marzo scorso, gli allevatori hanno accettato 74 centesimi al litro Iva inclusa (67 senza imposta), con l’impegno di un conguaglio a novembre in base al prezzo di mercato del Pecorino romano.

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Le ragioni dell’aumento di questi due mesi non sono soltanto legate al fatto che le cooperative stanno retribuendo maggiormente i pastori per ragioni ‘etiche’, ma soprattutto perché in questi primi mesi del 2019 il prezzo del Pecorino romano è aumentato: è calata la sua produzione, in conseguenza di una minore  produzione e conferimento di latte, e gli acquisti di formaggio sono cresciuti del 50 per cento. Quindi meno latte prodotto e conferito, meno Pecorino romano negli scaffali e prezzo più alto sul mercato.

Stralcio del verbale di accordo dell’8 marzo (griglia dei prezzi)

A leggere gli ultimi dati Ismea e Clal relativi al mese di aprile, infatti, la produzione di Pecorino romano si è fermata a 5.632 tonnellate, il 18,4 per cento in meno (circa 1.200 tonnellate) rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Ed è facile intuire che il dato finale del 2019 non lascerà negli scaffali eccedenze in quantità tale da determinare la crisi come nella passata campagna. E se nel mese delle proteste e degli sversamenti in strada il prezzo del Pecorino romano al chilo si fermava a 5,52 euro al chilo (piazza di Milano per un prodotto con stagionatura di cinque mesi), nel mese di maggio i dati certificano un prezzo di 6,30 euro per ogni chilo di Romano. Perciò se questo fosse il prezzo anche a fine campagna (nel mese di novembre) e secondo la griglia dei prezzi sottoscritta a marzo, il prezzo del latte dovrebbe essere pagato tra i 72 e i 76 centesimi al litro (Iva inclusa).

Nei prossimi mesi, anche per i fari puntati sulla vertenza e per effetto del lavoro ai tavoli di filiera (il prossimo è convocato per il 31 maggio a Sassari), l’auspicio è che si interrompa anche il meccanismo dello sforamento delle ‘quote latte’, stabilite per ciascun caseificio dal Consorzio per la tutela del Pecorino Romano Dop. Un meccanismo che fa sì che, quando il prezzo del formaggio scende per via della sovrapproduzione, c’è la corsa delle stesse cooperative di allevatori a chi ‘svende’ prima il latte alle aziende di trasformazione. Un sistema vizioso, per cui le industrie si aspettano puntualmente un prezzo a ribasso, ma che ora sarà rivisto alla luce della riorganizzazione del settore tanto auspicata e sbandierata a ogni tavolo e oggetto dell’accordo siglato l’8 marzo scorso.

Elemento fondamentale è la formazione del piano dell’offerta di Pecorino romano. “Stiamo lavorando al piano dell’offerta ed è in corso il confronto con il ministero per la modifica del disciplinare del Consorzio – spiega a Sardinia Post Salvatore Palitta, presidente dell’organismo di tutela del Romano – puntiamo a inserire nuove tipologie di formaggio da far riconoscere con etichette apposite, nuove produzioni con basso contenuto di sale e diversa stagionatura che incontrano i gusti dei consumatori, oltre all’individuazione delle razze nelle zone d’origine, che non è solo la Sardegna, ma anche il Lazio e la Toscana”.

A mancare ancora in un ragionamento di filiera è l’elemento fondamentale della Grande distribuzione organizzata, che nelle intenzioni e nel verbale di accordo siglato l’8 marzo scorso con gli allevatori, dovrebbe essere presente ai futuri tavoli di filiera. “La Gdo è il dominus della situazione, controlla il 90 per cento del mercato al consumo e, a parte la solidarietà nei giorni delle proteste, non ha fatto molto per un diverso approccio nei confronti dei produttori: ciò limita il potere contrattuale – conclude Palitta -. Gli accordi e i piani futuri dovranno necessariamente comprendere anche il player finale di filiera, quello orienta i mercati e ai consumi”.

Marzia Piga

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