Igor e i suicidi in carcere. Caligaris: “In cella le persone fragili sono sole”

“Se questo ragazzo si è ucciso la colpa è di un intero sistema che non lo ha protetto: a prescindere dal crimine per cui una persona è in carcere non dovrebbe essere abbandonata a se stessa ma aiutata e sostenuta”. Maria Grazia Caligaris, da anni accanto alle persone che vivono situazioni di disagio e difficoltà come presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, commenta con amarezza il suicidio di Igor Diana, il giovane che nel maggio scorso ha ucciso i suoi genitori adottivi prima di essere arrestato durante un tentativo di fuga.

Igor, 28 anni compiuti in carcere, si è impiccato ieri pomeriggio nella sua cella con i lacci delle scarpe. Era rimasto solo dopo aver avvisato il compagno di stanza che lo avrebbe raggiunto dopo pochi minuti al cineforum, e quando gli agenti lo hanno trovato era ormai privo di vita. Ci si interroga ora sullo stato psicologico del giovane: aveva già dato segnali sulle sue intenzioni di togliersi la vita? Era seguito da uno specialista? Il suicidio poteva essere evitato?

“Il caso del giovane Diana conferma ancora una volta che il sistema penitenziario italiano è sbagliato – afferma Caligaris – questo ragazzo si è trovato isolato da tutti e senza alcun sostegno, mentre la società e i media ne avevano già decretato la condanna. Non giudichiamo un reato così efferato, sul quale c’era ancora un’indagine in corso, ma è certo che non si possono tenere le persone così, tutte insieme in una stessa struttura dove convivono tossicodipendenti, detenuti per piccoli reati e omicidi, persone già condannate o persone in attesa di giudizio, ognuno con un vissuto diversissimo. Igor era immerso in una fragilità estrema, acuita dalla situazione che aveva vissuto in orfanotrofio, e in carcere si è trovato completamente solo. Mi viene in mente quello che è successo in Norvegia per Anders Breivik, il responsabile della strage di Utoya del 2011: è stato condannato a 21 anni di carcere ma è costantemente seguito da una equipe di psichiatri e i suoi diritti in carcere sono rispettati. Questo da noi non succede, e un suicidio come questo conferma che non ci prendiamo cura dei detenuti più fragili”.

Il suicidio di Igor non era prevedibile, ma gli avvocati Antonella Marras e Federico Aresti hanno sempre sostenuto che il giovane non poteva reggere il regime carcerario. Alle spalle c’era un’infanzia difficile e un presente tormentato da droghe e alcol: per questi motivi i legali avevano depositato in tribunale una perizia psichiatrica che sosteneva la seminfermità mentale. I compagni di carcere invece lo vedevano sereno: “Sono tutti molto scossi e sconcertati – sottolinea ancora Maria Grazia Caligaris, che questa mattina è stata in visita proprio nel carcere di Uta dove Igor era rinchiuso – e la convinzione diffusa è che il ragazzo aveva già da tempo scelto di togliersi la vita: sembrava tranquillo, quasi sereno nella consapevolezza della sua decisione”.

La morte di Igor Diana non è un caso isolato: già il 22 ottobre scorso, sempre a Uta, un altro giovane in attesa di giudizio aveva tentato il suicidio ed era poi morto in ospedale. Nel corso dell’anno ci sono stati altri tre tentativi: il più recente risale a 2 mesi fa, quando il responsabile dell’omicidio di Is Mirrionis ha cercato di uccidersi in cella, a Uta: dopo il ricovero in ospedale è stato riaccompagnato in carcere. Due i casi nel carcere di Bancali a Sassari: tra questi, il giovane 19enne che aveva massacrato la fidanzata con una spranga, ha tentato di impiccarsi nella cella di isolamento in cui era rinchiuso ma è stato soccorso dagli agenti.

Nel 2015 in Sardegna si sono registrati 4 tentativi di suicidio: il 3 giugno 2015 un detenuto di 45 anni è stato soccorso prima di morire, il 22 dicembre gli agenti hanno sventato il terzo tentativo di un 29enne, tossicodipendente e con problemi psichici; a luglio due tentativi, nel carcere di Uta e in quello di Massama. In tutti i casi, i detenuti sono stati soccorsi, curati e poi riportati in cella.

“Ci sono situazioni in cui l’intervento degli agenti è provvidenziale – conclude Caligaris – ma non sempre succede e non possiamo affidare al caso la salvezza di persone così fragili: mancano agenti, educatori, personale specializzato. La responsabilità di queste morti non è del singolo, ma di un intero sistema che avrebbe bisogno di essere rivisto in chiave umana e personale, non solo più come sistema di detenzione”.

Francesca Mulas

Diventa anche tu sostenitore di SardiniaPost.it

Care lettrici e cari lettori,
Sardinia Post è sempre stato un giornale gratuito. E lo sarà anche in futuro. Non smetteremo di raccontare quello che gli altri non dicono e non scrivono. E lo faremo sempre sette giorni su sette, nella maniera più accurata possibile. Oggi più che mai il vostro supporto è prezioso per garantire un giornalismo di qualità, di inchiesta e di denuncia. Un giornalismo libero da censure.

Per ricevere gli aggiornamenti di Sardiniapost nella tua casella di posta inserisci la tua e-mail nel box qui sotto:

Related Posts
Total
0
Share