È scoppiata una strana polemica attorno ai giganti di Mont’e Prama i cui scavi saranno curati da una ditta emiliana che si è aggiudicata una gara da 430mila euro bandita dalla Direzione regionale sarda dei Beni culturali e paesaggistici. La decisione viene presentata come uno ‘scippo’ alla Sardegna e all’università sarde.
Verrebbe da dire che quanto ai Giganti la Sardegna non ha tutti i titoli per alzare la voce. Bastarebbe ricordarsi quanto tempo c’è voluto prima che queste opere straordinarie diventassero (parzialmente) accessibili ai cittadini. E, a proposito dell’esclusione delle università, il tema va approfondito. Perché pare assai improbabile che gli autori degli scavi terranno segreti i dati. Non si ha notizia di comportamenti del genere e non se ne vedrebbe la ragione.
Ma l’aspetto curioso è un altro. A quanto pare – riferisce il quotidiano di Cagliari – chi ha effettuato fino a oggi gli scavi ha esaurito i finanziamenti, ma un nuovo contributo sarebbe in arrivo. Proveniente dalla Fondazione del Banco di Sardegna.
Ecco dunque lo scenario che viene presentato all’opinione pubblica: lo Stato patrigno, attraverso una sua diramazione isolana (la Direzione regionale dei Beni culturali) affida la ricerca dei nostri tesori a un’impresa “straniera”. E questo benché siano in arrivo dei soldi “sardi” (la Fondazione Banco di Sardegna) che potrebbero consentire ai sardi medesimi di andare avanti negli scavi.
Un po’ troppo semplicistico, ma non privo di suggestioni. D’altra parte il tema della ‘sardità vilipesa’ continua a essere molto popolare. Tanto che un politico come Ugo Cappellacci – che si lamentava dei sardi mentre offriva le aragoste a un potente interlocutore continentale – ci si è buttato a capofitto con argomenti sul filo dell’indipendentismo.
Il problema, però, è che tutto questo avviene mentre perdura il silenzio tombale attorno alle vicende di un’altra impresa emiliana che – per usare gli stessi termini di questa campagna sui giganti – ha ‘scippato’ ai sardi non il passato, ma il presente e il futuro. Si chiama Banca popolare dell’Emilia Romagna, controlla il Banco di Sardegna col consenso partecipe proprio di quella Fondazione che sarebbe sul punto di versare una nuova tranche di denaro per consentire ai sardi di scavare sul loro passato. Che è compito da archeologi.
Scavare sul presente, invece, dovrebbe essere il compito dei giornalisti.