Il ruolo delle Fondazione e le attese per una solida e radicata “banca sarda”

Amsicora – che i lettori di Sardinia Post conoscono dal settembre del 2014 –  non è lo pseudonimo di un solo autore, ma il ‘nome collettivo’ con cui firmiamo analisi che sono il frutto di informazioni acquisite da fonti economiche qualificate. La direzione della testata è, ovviamente, a conoscenza dell’identità dei quanti compongono il collettivo e ne garantisce la competenza.

“La possibilità che il Banco di Sardegna rimanga una banca autonoma, solida ed autorevole, al servizio soprattutto dell’economia dell’isola, dipende da come la Fondazione saprà giocare le sue carte con la Banca popolare dell’Emilia Romagna e con la Merrill Lynch: speriamo che le sappia giocare al meglio”. E’ quel che afferma un esperto finanziario milanese interrogato da noi di Amsicora.

A quest’affermazione così tranchant, l’esperto ha poi voluto far seguire una spiegazione: “Non vi è dubbio che la Bper si trovi oggi di fronte ad un grosso problema che interessa la sua trasformazione in Società per azioni come l’inevitabile fusione con altra banca, per poter rientrare, senza pericoli, nei ratios di solidità imposti dalla Banca centrale europea di Mario Draghi. Si tratta di due passaggi conseguenti e che dovranno trovare ambedue una soluzione a breve. La sua partecipazione di controllo del Banco di Sardegna appare, in questa situazione, una delle possibili chiavi da utilizzare per facilitarle. Naturalmente, passando obbligatoriamente attraverso un accordo con l’altro azionista, la Fondazione sarda, appunto”.

“Vorrei andare con ordine –  aggiunge il nostro esperto -. La Fondazione ha tuttora in portafoglio il 49 per cento del capitale del Banco di Sardegna e, per quel che risulta, circa il 5 per cento di quello della Bper. Ora, per imposizione del ministero dell’Economia, è obbligata a ridurre a non più del 15-18 per cento la sua partecipazione nel Banco, offrendo in prelazione l’eccedenza al socio modenese, come imporrebbero gli accordi sociali”.

L’idea originaria del Ceo della Bper, Alessandro Vandelli, era quella di avviare un concambio di azioni, cioè senza mettere mano alla cassa: un’operazione che oggi, di fronte all’abolizione del voto capitario, porterebbe però la Fondazione a divenirne uno dei maggiori azionisti. Ciò che, naturalmente, non può che destare preoccupazione, visto che di quel che ritiene veramente l’istituzione sarda in quel di Modena si sa ben poco, e si nutrono anche delle preoccupazioni su come voglia utilizzare le sue azioni Bper. Se ne paventano infatti possibili alleanze con soggetti terzi che metterebbero in discussione il patto di ferro che da sempre rende stabile la sua governance, molto “interna” al milieu economico della città della Ghirlandina.

Altrettanta preoccupazione si nutre se ad acquistare quel 25-30 per cento in mano alla Fondazione fosse altro investitore, banca o fondo che sia. Proprio queste remore porterebbero il management modenese a valutare la possibilità di cederne la partecipazione, anche perché potrebbe dare un buon incremento al proprio asset patrimoniale, ricomprandone anche le azioni Bper in suo possesso.

A fronte di questa situazione (ed è questa la ragione dei rumors attualmente colti anche da noi di Amsicora) s’è manifestato il forte interesse dei fondi d’investimento internazionali (in particolare di quelli facenti capo al gigante BlackRock, che gestisce un patrimonio totale di oltre 4300 miliardi di dollari) sulle sorti della Bper e del suo gruppo bancario, attratti soprattutto dall’interessante risiko in atto fra le otto o dieci banche popolari interessate dalla legge Renzi, tutte bisognose di appoggi finanziari.

I gestori di quei fondi hanno quindi posto molta attenzione sulle alleanze e sulle fusioni possibili, visto che proprio il gruppo modenese viene ritenuto debole sia patrimonialmente che organizzativamente, oltre che attraversato da forti divisioni su con chi e come fondersi (molti soci autorevoli propendono infatti ad allargarsi soprattutto sul Nord Est, come territori più omogenei alla loro cultura bancaria, ed altri pensano invece alle new banks in vendita come l’Etruria).

“Mi risulta – aggiunge ancora il nostro amico milanese– che da qualche tempo proprio la Merrill Lynch avrebbe predisposto un dossier sulla Bper (di cui detiene già una quota di capitale) e, più in particolare, sulle sue partecipate, e più in particolareancora  sul Banco di Sardegna. Quest’ultimo, infatti, è parso da subito come il nodo da dover sciogliere per il futuro della Bper, sia nell’ipotesi di un’eventuale fusione con altra banca della Penisola e sia ancora come oggetto di scorporo, finalizzato ad una possibile valorizzazione, vista la fase di declino attraversata nell’ultimo decennio (in quel dossier verrebbero precisati anche i possibili campi di miglioramento reddituale dell’istituto isolano).

Naturalmente, la presenza così importante di un’istituzione pubblica nel capitale del Banco di Sardegna, avrebbe consigliato loro la necessità di stabilire un’intesa con quest’ultima, anche perché (così si legge nel dossier) essa risulta molto “interna” allo stesso governo politico della Regione.

Ecco perché le mosse della Fondazione andrebbero ad assumere un peso determinante. Vi sono infatti da valutare due circostanze: la prima riguarda il mancato rinnovo, per decisione della Fondazione, del patto parasociale come azionisti del Banco, scaduto nell’ottobre scorso; la seconda attiene ad un accordo che il presidente Cabras avrebbe stretto proprio con la Merrill Lynch, chiamata come advisor, o anche qualcosa di più, per il collocamento di quel 30 per cento circa di azioni del Banco obbligata a cedere. Con l’interesse, neppur molto recondito, di riuscire a portare ad una preventiva quotazione in borsa il suo capitale, in modo da favorirne una maggiore apertura a possibili investitori.

«Sempre che le mie informazioni siano esatte – prosegue il nostro analista – i discorsi avrebbero anche riguardato il futuro della banca sarda, soprattutto per verificare l’esistenza di un condiviso interesse nel volerlo riportare al servizio esclusivo dell’economia dell’Isola».

In parole povere, si intenderebbe acclarare se anche la Fondazione sia disponibile a valutare un possibile divorzio dalla Bper. Seppure non si ha certezza sul pieno assenso dato a quest’ipotesi, troverebbe però conferma l’esistenza di una comune volontà tesa a ridare al Banco di Sardegna un ruolo di “prima” banca dell’Isola.

Ed è qui che il ruolo della Fondazione diverrebbe, anche a nostro avviso, decisivo. Perché ogni soluzione dovrebbe trovare la sua partecipazione. Sempre che – andrebbe aggiunto – vi sia la volontà e l’interesse a ridare alla Sardegna quel che, una quindicina d’anni or sono, aveva collaborato a sottrarle. Cioè una banca culturalmente, socialmente ed economicamente incardinata nel suo territorio.

Ed è poi questo l’interesse che ha portato noi di Amsicora ad occuparci di queste vicende. Perché si è convinti, profondamente convinti, che l’economia sarda abbia più che mai necessità di una banca che capisca, interpreti e accompagni le esigenze delle sue attività e delle sue imprese.

Ci sono dei dati che confermano quest’assunto. Laddove non hanno operato le banche territoriali, come nella nostra Isola, è stata assai più rilevante la flessione dei crediti concessi (prendete a raffronto i dati diffusi da Bankitalia sulle economie regionali); nell’Isola – dove ormai non esiste più una presenza creditizia locale e dove anche quella che dovrebbe essere, almeno nel brand, una banca locale di fatto si muove su logiche esterne – la politica del credito bancario è tutta fortemente eterodiretta e condizionata da interessi e da priorità extraregionali. Il risultato lo si riscontrerebbe nella partecipazione del Banco al sistema creditizio regionale, che continua ad essere in fase calante (un’indagine di un’associazione datoriale indicherebbe nella banca sarda l’anello più ostico all’ottenimento di crediti).

Ora, in un territorio come il nostro, ove il tessuto produttivo è formato per quattro quinti da piccole e piccolissime imprese, il ruolo di operatori creditizi che ne sappiano comprendere la “lingua” (con ciò intendendo le esigenze e le problematiche operative, oltre che offrire una maggiore affinità sociale) appare di vitale importanza: non è un caso che le due piccole banche cooperative sarde (le BCC di Arborea e Cagliari) abbiano registrato interessanti dati di crescita, in controtendenza, con il solo demerito d’essere ancora troppo piccole.
Dentro queste osservazioni, risiede e si rafforza quindi il nostro interesse a voler conoscere se la Fondazione (oggi “di Sardegna”, avendo emblematicamente cassato il termine “Banco”) abbia o no la voglia “politica” di ridare alla banca – da cui ha ricevuto tutto il suo patrimonio – quel ruolo “politico” che le dovrebbe spettare all’interno dell’economia regionale: ruolo, aggiungiamo, che la resa alla Bper nel 2000 sciaguratamente le aveva sottratto.

Ci interessa infatti sapere se il presidente Cabras (che è, oltretutto, un politico fine, avveduto ed esperto di cose sarde) intende condividere questo pensiero. E proprio a lui, ed alle sue responsabilità odierne, dedichiamo questo pensiero finale, che non è nostro, ma è tratto dal saggio che Gianni Toniolo scrisse a chiusura della “Storia del Banco di Sardegna” da lui curata per i tipi di Laterza: ci si augurerebbe – scriveva pressappoco questo l’autorevole economista – che si abbia la possibilità, e la conseguente volontà, di far ritornare il controllo del Banco nell’Isola. Sarebbe così pienamente realizzato il progetto ottocentesco del conte di Cavour: dare alla Sardegna una grande, efficiente, solida banca sarda. Vorranno i sardi, questa volta, sostenere con forza l’idea e decidere di partecipare al capitale della propria banca? Ciò significherebbe la definitiva sconfitta, sia della memoria storica, sia ancora del vincolo atavico d’un credito bancario affidato esclusivamente a mani esterne all’Isola.

Anche se il tempo per le banche pare volto, in questi ultimi mesi, al tempestoso, noi crediamo che un’istituzione pubblica sarda, come la Fondazione, non possa esimersi dall’impegno di adoperarsi per cercare di riconsegnare ai sardi la “loro” banca. I fondi d’investimento, con la loro neutralità ambientale e con le loro attitudini per le efficienze gestionali, potrebbero esserne lo strumento adatto.

Amsicora

 

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