Piano paesaggistico, un promemoria per il presidente Pigliaru

La lunga intervista televisiva di sabato scorso  di Ugo Cappellacci  sull’annullamento da parte della giunta regionale in carica della delibera con la finta  approvazione  del Ppr assunta dal centrodestra lo scorso 14 febbraio, a due giorni dalle elezioni, rende necessarie alcune riflessioni sul tema che metto a disposizione del presidente Pigliaru.

La prima è relativa al predetto annullamento della delibera del 14 febbraio sulla quale mi ero soffermato  in un mio precedente intervento su questo sito (Svelato il bluff del nuovo Piano paesaggistico) mettendone   in dubbio l’efficacia giuridica, in quanto atto meramente  interno adottato con procedimento ancora non concluso perché privo della  obbligatoria valutazione ambientale strategica e, per di più,  volutamente non pubblicato sul Buras.

Si tratta, a prescindere dagli aspetti giuridici della vicenda, di  un primo ed importante segnale “politico”  del nuovo presidente della Regione,  in linea con le sue dichiarazioni preelettorali  sul primato dei valori del paesaggio nei confronti degli  interventi edilizi nei territori più sensibili dal punto di vista paesaggistico.

Resta, però, aperta la questione  della delibera del  25 ottobre del 2013 relativa all’adozione del Piano regionale paesistico stesso, che per le illegittimità procedurali e sostanziali in cui la precedente giunta regionale è volutamente incorsa nella sua approvazione, che interagiscono con le censure sul merito delle fondamentali scelte paesaggistiche effettuate,  ne imporrebbero l’annullamento in via di autotutela. Annullamento che sarebbe pienamente coerente con la volontà espressa dal presidente Pigliaru e dall’assessore degli Enti locali Erriu di voler ritornare alla situazione ante delibera del 25 ottobre del 2013, con la riapertura del confronto con  le categorie economiche e sociali e la ripresa del procedimento di copianificazione con il Ministero dei beni culturali.

Le illegittimità costituzionali della delibera di adozione  del nuovo PPR sono note ma giova riprenderle con qualche nuova argomentazione.

Mancata copianificazione col Ministero dei beni culturali. La prima censura, contenuta anche  nell’impugnativa del governo della Repubblica  presentato alla Corte costituzionale il 10 gennaio scorso, attiene alla violazione delle norme contenute nel “Codice del paesaggio”, ovvero l’ articolo 135 del decreto legislativo  n. 42 del 2004, modificato con il decreto legislativo n. 63 del 2008,  nella parte in cui prevede che “l’elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e Regioni”.Come è noto la  giunta di centro destra ha, invece, dapprima  intrapreso ed in seguito abbandonato il procedimento di copianificazione con la Direzione regionale del Ministero dei beni culturali.

Cappellacci, nell’intervista televisiva di giovedì scorso, si è aggrappato ancora una volta all’argomento della competenza primaria in materia di paesaggio riconosciuta alla Regione dalle norme statutarie,  raccontando di una ipotetica invasione dell’autonomia regionale da parte dello Stato. Le cose stanno in modo assai diverso dato che è lo stesso Statuto sardo (articolo 3) a prevedere che anche nelle materie in cui la Regione dispone di una competenza esclusiva, come quella sul paesaggio,  questa si arresta dinanzi alle disposizioni statali che costituiscono “norme fondamentali delle riforme economico- sociali della Repubblica”.

Rientra tra le  “norme fondamentali delle riforme economico- sociali della Repubblica” anche l’articolo 135 decreto legislativo  n. 42 del 2004 sulla obbligatoria pianificazione congiunta Regione-Ministero dei beni culturali in tema di piani paesistici. Lo avevo sostenuto in un mio intervento su SardiniaPost dello scorso 26 ottobre (L’analisi di Carlo Mannoni.Ecco le norme che svelano il bluff del Pps) , subito dopo la delibera di adozione del Ppr da parte della giunta di centro destra, e la mia posizione aveva trovato successivamente  esplicita conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 308 del 2013, pubblicata il 27 dicembre 2013, nota come “sentenza sulle zone umide”,  riferita alle competenze della nostra Regione in materia di beni paesaggistici e relativa pianificazione.

L’errata classificazione dei beni paesaggistici nel Ppr adottato il 25 ottobre 2013. C’è un errore tanto evidente quanto incomprensibile nella classificazione dei “beni paesaggistici” della Sardegna contenuta nel Ppr adottato dalla Regione  lo scorso 25 ottobre. Per il vigente articolo134 del decreto legislativo n. 42 del 2004 i beni paesaggistici sono suddivisi in tre tipologie: alla prima appartengono i beni paesaggistici già vincolati con provvedimenti specifici, alla seconda quelli qualificati come tali ex lege, alla terza quelli individuati e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici. Per l’articolo  135 dello stesso decreto legislativo tutti i beni rientranti nelle tre tipologie sono soggetti alla copianificazione paesaggistica Regione-Ministero dei beni culturali.

Orbene,  per il Ppr adottato il  25 ottobre 2013 le tipologie dei beni paesaggistici sono diventate inopinatamente 4 (articolo 11 delle norme tecniche di attuazione): alle tre tipologie previste dal Codice del paesaggio ne è stata aggiunta una quarta, quella relativa “alle aree ed agli immobili individuati e  tipizzati dal Ppr ai sensi dell’articolo 134, comma 1, lettera  c) del decreto legislativo n. 42 del 2004”, tipologia presente nel Ppr del 2006 ma oggi non più esistente nei nuovi piani paesaggistici dopo le modifiche apportate con il decreto legislativo n. 63 del 2008 che ha sostituito tale tipologia con quella dei “beni  individuati e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici.”

C’è da chiedersi per quali ragioni sia stata tenuta vigente tale tipologia dei beni paesaggistici presente nel Ppr del 2006 di Renato Soru – che costituiscono il cuore del nuovo Ppr  adottato essendo inclusi tra questi, tra l’altro,  la fascia costiera, le morfologie a baie e promontori,  i campi dunali e i compendi sabbiosi, i corsi d’acqua di interesse paesaggistico, le zone umide, gli insediamenti storici di notevole valore paesaggistico, e le aree caratterizzate da edifici e da manufatti di valenza storico culturale –  dal momento che il Ppr adottato il 25 ottobre del 2013 è espressamente un nuovo piano paesaggistico e non un aggiornamento del precedente. Basti pensare, per tale ultimo aspetto,  che gli elaborati del nuovo Piano paesaggistico adottato hanno integralmente sostituito (articolo 4 delle norme tecniche di attuazione) quelli che costituivano il precedente Ppr del 2006.

Mi chiedo, allora,  per quale motivo non si sia voluto, con il nuovo Ppr adottato, riclassificare tali importantissimi beni paesaggistici nella tipologia dei  “beni  individuati e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici” prevista dal vigente articolo 134, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n.42 del 2004 che , come ho già scritto, debbono essere sottoposti al procedimento di copianificazione Regione-Ministero. Forse per evitare il controllo della Direzione regionale dei beni culturali sulle straripanti norme, in termini volumetrici, che con il Ppr adottato nel 2013 hanno aperto agli interventi costruttivi per milioni di metri cubi nelle zone costiere? Un quesito, un dubbio  ed una riflessione che porgo all’attenzione del neo assessore regionale all’urbanistica Erriu.

La riduzione della tutela paesaggistica. Il Ppr adottato il 25 ottobre del 2013 si configura  –  soprattutto attraverso le norme transitorie che riattivano, nelle aree più sensibili da punto di vista paesaggistico, vecchi piani di intervento immobiliare per una ventina di milioni di metri cubi ed oltre, e con  l’inclusione nel piano stesso delle  leggi regionali sul piano casa e sul golf –   più che uno strumento di tutela paesaggistica un piano autorizzativo di programmi immobiliari, a fronte del quale il “paesaggio” regredisce a categoria secondaria.

Tale considerazione, che per la giunta Cappellacci costituiva un elemento di forza, con riferimento ai valori costituzionali del paesaggio che l’articolo 9 della Costituzione esprime in modo mirabile (“La Repubblica  tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”),  è un punto di estrema debolezza che rende il piano stesso costituzionalmente illegittimo.

Invito,  a tale proposito, a prendere visione della sentenza della Corte costituzionale n. 308 del 2013,  con la quale è stata dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 1, commi 1e 2  della legge regionale della Sardegna  12 ottobre 2012, n. 20  (Norme di interpretazione autentica in materia di beni paesaggistici in materia di zone umide ). Tale sentenza, in linea con precedenti conclusioni della stessa Corte, costituisce un monito per chi voglia avventurarsi in spregiudicate azioni sul paesaggio ammantate di propositi di tutela paesaggistica solo annunciati.

Riferendosi alle norme regionali poi cassate che consentivano, anche retroattivamente a fini di sanatoria di abusi edilizi conclamati con sentenza della Corte di Cassazione, la  realizzazione  interventi immobiliari a ridosso di alcune tipologie di zone umide,  la Corte costituzionale si è soffermata sulla indebita riduzione della tutela paesaggistica, da parte del Consiglio regionale,  su alcuni beni rispetto alle disposizioni del Ppr del 2006: “Nella specie, la volontà del legislatore deve ravvisarsi, alla luce di quanto statuito nella legge regionale n. 8 del 2004 e nelle relative norme del cosiddetto Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, nella volontà di assicurare un’adeguata tutela e valorizzazione del paesaggio, in primo luogo attraverso lo strumento del Piano paesistico regionale (art. 1 della legge regionale n. 8 del 2004; art. 135 del Codice dei beni culturali e del paesaggio). L’effetto prodotto dalla norma regionale impugnata, all’opposto, risulta essere quello di una riduzione dell’ambito di protezione riferita ad una categoria di beni paesaggistici, le zone umide, senza che ciò sia imposto dal necessario soddisfacimento di preminenti interessi costituzionali.”.

La riduzione della tutele paesaggistica è quindi ammessa, per la Corte costituzionale, solo a condizione che vengano soddisfatti i “preminenti interessi costituzionali”, così come la stessa Corte aveva avuto modo di  affermare in precedenza (sentenza n. 367 del 2007)  definendo il paesaggio come forma del territorio ed aspetto visivo dell’ambiente tutelato dall’articolo 9 della Costituzione come valore “primario” e “assoluto”. La sentenza del 2007, come è stato scritto, ha  “ribadito con più forza la superiorità del valore paesaggistico, che è espressione di interessi spirituali e culturali, su interessi, come quelli economici, che non rientrano nel catalogo dei valori costituzionali primari”. Altra cosa è invece,sempre per la glirisprudenza della Corte costituzionale “l’esigenza di un bilanciamento, all’interno dei processi decisionali in cui si esprime la discrezionalità delle scelte politiche o amministrative, con altri valori “di fondamentale rilevanza” costituzionale quali, nella specie, la dignità umana, il lavoro, e l’abitazione.”

Ho svolto tali riflessioni (della cui necessaria lunghezza mi scuso) per mettere in risalto le ragioni che richiedono l’annullamento in via di autotutela, da parte della giunta regionale, del Piano regionale pesistico adottato dalla Regione il 25 ottobre del 2013. Si riparta da lì, dal momento che ha preceduto l’adozione del piano stesso, salvando in questa fase  il grande lavoro svolto dagli uffici della Regione e dalla Direzione regionale dei beni culturali nell’aggiornamento del Repertorio dei beni paesaggistici storico-culturali e dei contesti identitari.

Carlo Mannoni

 

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