La misteriosa guerriglia di Cagliari

Apprendiamo dal titolo de l’Unione sarda oggi in edicola che ieri tra Cagliari e Quartucciu c’è stata una “guerriglia“. Che, però, a leggere l’articolo, in realtà non si è poi verificata, ma è stata invece “sfiorata”.

All’origine della “guerriglia” –  scoppiata nel centro commerciale Le Vele – un diverbio tra uno dei tanti parcheggiatori, quasi tutti di origine senegalese, e il direttore del supermercato.

Stando sempre a quanto riporta il quotidiano di Cagliari, il direttore del supermercato,, scortato da due vigilantes, ha affrontato alcuni immigrati che si erano sistemati all’ingresso del centro commerciale per vendere dei cd contraffatti. L’ha invitato ad allontanarsi ed è nato un diverbio durante il quale, “a suo dire per difendersi da un’aggressione”, il direttore ha spruzzato nel gas urticante al peperoncino sugli occhi del venditore abusivo. L’immigrato ha urlato per il dolore. A sua difesa sono intervenuti una trentina di suoi connazionali. Il direttore e i vigilantes sono fuggiti barricandosi, in un ufficio. Tre degli immigrati hanno sferrato calci sulla porta e hanno rotto una bacheca in plexiglass. E’ arrivata la polizia e la situazione è tornata calma. La “gazzarra” (non più la “guerriglia”) si è risolta in pochi minuti”, scrive l’Unione.

Una gazzarra, dunque. Così risulta davvero poco comprensibile che questo episodio venga sintetizzato in un editoriale dal titolo “La zona franca della violenza” (la Colombia? La Libia? Il Bronx?). Che si apre con la seguente premessa del suo autore: “Non chiedermi di essere politicamente corretto, perché oggi non voglio esserlo”. Affermazione di difficile comprensione: cosa vuol dire “essere politicamente corretto” quando si riporta una notizia? I giornalisti sono tenuti a restituire la “verità sostanziale dei fatti”, non a essere “politicamente corretti”.

La verità sostanziale dei fatti è che in un centro commerciale di Cagliari è scoppiata una gazzarra che, a quanto pare, è stata scatenata dall’iniziativa di una persona di spruzzare gas urticante sugli occhi di un’altra persona che, a suo giudizio, stava commettendo un reato. E siccome non ci risulta che l’italiano medio circoli con un flacone di gas urticante in tasca, il dubbio che l’autore del gesto l’avesse programmato o almeno messo in conto prima del diverbio è molto alto. Ma questo dovranno accertarlo le forze dell’ordine.

L’editoriale de l’Unione sarda descrive una città nella quale è diventato un incubo parcheggiare. Forse frequentiamo un’altra città, ma quel che ricordiamo, per esperienza diretta, dei parcheggiatori senegalesi è, a volte, un eccesso d’insistenza. A volte. Un’insistenza analoga a quella che in altri luoghi, Roma per esempio, caratterizzava fino a qualche anno fa (prima che fossero soppiantati dagli immigrati) i parcheggiatori italiani, per buona parte meridionali.

Ricordiamo, viceversa, di aver trovato parcheggi impossibili grazie alle indicazioni e alla collaborazione di questi ragazzi. E anche di aver assistito a situazioni nelle quali erano gli stessi colleghi a invitare qualcuno di loro particolarmente insistente a piantarla. Ricordiamo pure che qualche tempo fa un parcheggiatore senegalese bloccò, nei pressi dell’ospedale Brotzu di Cagliari, un topo d’auto campidanese consegnandolo alle forze dell’ordine.

Come in tutte le categorie e in tutti i gruppi umani ci sono gli arroganti e i violenti. Può essere capitato che qualcuno abbia addirittura rigato una macchina. Ma, per quanto ci risulta, l’hobby di fare questo giochetto è diffuso anche tra certi ragazzi nostri connazionali. E infatti spesso le macchine vengono rigate in zone dove non è segnalata la presenza di parcheggiatori africani.

D’altra parte ognuno di noi ha esperienza di atteggiamenti vessatori messi in atto dagli ausiliari del traffico (italiani, anzi sardi doc) che a volte infiggono multe quando il tempo del parcheggio è scaduto da pochi minuti. In questi casi non c’è solo il fastidio di dover ripetere un paio di volte “no grazie”, ma il danno della sanzione economica. Viviamo in una “zona franca della vessazione burocratica?”

Sono circostanze banali della vita quotidiana. Opportunamente l’autore dell’editoriale tiene a chiarire di non essere razzista. Il dire “Io non sono razzista, però” è la premessa più frequente dei discorsi che poi vanno a parare nella xenofobia. Anzi, a essere rigorosi, ne è l’esplicito preannuncio. Naturalmente ogni organo di stampa è autorizzato a valutare le notizie come meglio crede. Ma sarebbe opportuno evitare di chiamare le cose con un nome diverso dal loro. Specialmente quando ci si occupa di una materia delicata come la convivenza tra etnie diverse. Perché c’è il rischio di alimentare tensione e odi e di rendere più difficile un confronto che è già reso complesso da tante circostanze aggiuntive, a partire dalla crisi economica.

G.M.B.

 

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