Mesina divorato dalle “cimici”. La maledizione tecnologica

Graziano Mesina, dicono gli investigatori, è stato incastrato soprattutto dalle intercettazioni ambientali. Una specie di maledizione tecnologica per la criminalità tradizionale isolana che, fin dai loro albori, sottovalutò, fino a irriderle, le nuove tecnologie investigative. Salvo poi scoprire amaramente la loro efficacia.

Era il 1995 e il sostituto procuratore dell’Antimafia Mauro Mura indagava sui sequestri dell’imprenditore di Macomer Giuseppe Vinci e dell’albergatore romano rapito a Calagonone Ferruccio Checchi. Da mesi gli investigatori avevano tappezzato di “cimici” certi bar “che contano” nel Corso Repubblica di Orgosolo, oltre che le macchine di una serie di sospettati. I quali, ignorando del tutto la potenza delle “armi tecnologiche”, parlavano liberamente, pensando che l’unico mezzo di comunicazione di cui diffidare – usandolo il meno possibile e parlando in codice – fosse il telefono.

Però qualcuno, più informato degli altri, cominciò ad avere qualche sospetto. E mise in guardia il capo che, nell’occasione, era Nicolò Cossu, meglio noto come “Cioccolato”, allora trentottenne: “Macché, stiamo parlando di fantascienza”, lo sventurato rispose.

Qualche tempo dopo, poco prima di sera, da uno di quei bar di Corso Repubblica tempestati di microspie vennero prelevati in tre. Tutti poi furono condannati a pene severissime. Pene che stanno ancora scontando in diverse carceri della Penisola . Tra loro c’è Tonino Crissantu, nipote di Graziano Mesina e fratello di quel Raimondo Crissantu arrestato assieme allo zio.

Le intercettazioni ambientali hanno stroncato il fenomeno dei sequestri di persona. Un reato che richiede tempo, spostamenti, contatti. Tutte attività molto esposte alla potenza delle nuove tecnologie. Lo sanno tutti, anche le pietre, ed è davvero sorprendente che, quasi vent’anni dopo “Cioccolato”, un uomo scaltro ed esperto come Graziano Mesina sia incorso nello stesso errore. Con la sola differenza che le “cimici” non erano state piazzate in un bar del Corso di Orgosolo ma direttamente sulla Porche Cayenne del celebre indagato. A bordo della quale Mesina parlava liberamente, senza le prudenze e le cautele che invece adottava nelle conversazioni telefoniche dalle quali, infatti, non è emerso niente di utile alle indagini.

Non che ignorasse il pericolo, almeno in teoria: la banda si era persino dotata di uno scanner per l’individuazione di strumenti d’intercettazione ambientale. Solo che non è servito. Chissà. Forse perché è stato messo in funzione troppo tardi. O forse perché è stato utilizzato male. O nei luoghi sbagliati. Non in quella Porche Cayenne che alcuni mesi fa è stata data alle fiamme. Ma non per distruggere le “cimici”: pare che Mesina volesse incassare qualche soldo dall’assicurazione. Non sapeva che la polizza non era stata pagata.

Maria Giovanna Fossati

Diventa anche tu sostenitore di SardiniaPost.it

Care lettrici e cari lettori,
Sardinia Post è sempre stato un giornale gratuito. E lo sarà anche in futuro. Non smetteremo di raccontare quello che gli altri non dicono e non scrivono. E lo faremo sempre sette giorni su sette, nella maniera più accurata possibile. Oggi più che mai il vostro supporto è prezioso per garantire un giornalismo di qualità, di inchiesta e di denuncia. Un giornalismo libero da censure.

Per ricevere gli aggiornamenti di Sardiniapost nella tua casella di posta inserisci la tua e-mail nel box qui sotto:

Related Posts
Total
0
Share