Fondazione, Banco, Bper: il silenzio dei vertici su una “operazione iniqua”

Ormai da più di due mesi Sardinia Post – attraverso gli interventi di economisti autorevoli quali Paolo Fadda e Antonio Sassu e con propri editoriali – rivolge ‘domande in pubblico’  agli amministratori della Fondazione del Banco di Sardegna. I quali, come la quasi totalità del mondo politico, continuano a tacere. Eppure i quesiti sono importanti e anche gravi. In questo nuovo intervento, Paolo Fadda chiede un’altra volta come è perché, nell’operazione di incorporazione di Sardaleasing da parte della Banca Popolare dell’Emilia Romagna, il valore delle azioni della società incorporante , la Abf leasing, sia stato fissato circa nel quintuplo di quello delle azioni Sardaleasing. Come si vede non si tratta di un’astratta questione filosofica, ma di una domanda molto precisa attorno a un’operazione che Fadda definisce “iniqua”. Operazione che ha riguardato un bene che appartiene a tutti i sardi e non è proprietà privata degli amministratori della Fondazione. I quali, quando si degneranno di rispondere, avranno tutto lo spazio che riterranno necessario (g.m.b.).

 

Caro direttore,

ritengo che abbia molta ragione il professor Antonio Sassu nel sostenere (come ha fatto nell’intervento da lei pubblicato nei giorni scorsi) che sia ininfluente, per la Fondazione Banco di Sardegna, detenere il 49 od il 5 per cento del capitale della società bancaria di riferimento, se non sa, o non può esercitare alcun intervento di controllo sulla sua operatività. Ma il problema che s’è posto, e che si ripropone, non riguarda ovviamente la gestione creditizia dell’azienda bancaria, cioè come, quando, quanto ed a chi dare credito, quanto l’esercizio d’una attenta vigilanza sulla consistenza operativa e patrimoniale della società bancaria di cui si è soci. E, ancora, se la continua perdita del radicamento territoriale dell’azienda bancaria – oggi sempre più modenocentrica – rappresenti, o meno, un vulnus per il sistema finanziario isolano.

Quel che finora è avvenuto, in questi 14 anni di rapporti con la Banca Popolare dell’Emilia Romagna (Bper), è stato infatti caratterizzato da un progressivo dimagrimento del Banco di Sardegna spa, con la sottrazione dei suoi più validi ed interessanti assets, trasmigrati, con indubbi vantaggi patrimoniali, in quel di Modena. Senza che da parte dell’altro azionista, cioè dalla Fondazione, si mostrassero perplessità, si muovessero ostacoli o si opponessero (come sarebbe stato possibile) divieti.

Si prenda ad esempio l’ultimo caso, quello ormai arcinoto, della Sardaleasing, una delle partecipazioni storiche del Banco, oltre che ente assai influente e valido sul mercato creditizio dell’isola. Le ragioni d’una fusione con l’ABF Leasing sono tutte dalla parte della Bper, interessata a salvaguardare una sua controllata in salute precaria, e per quel che avrebbe espresso nel suo piano industriale, per avere un’unica “unità prodotto” per l’intero gruppo, oltre che per migliorare i propri requisiti patrimoniali.

Per sottrarre al Banco quella partecipazione senza esborso alcuno, viene attuata una “fusione per incorporazione”, prevedendo un concambio di azioni fra le due società, con l’attribuzione ad ogni azione dell’ABF il valore di 5,46 volte maggiore di quella della società incorporante (cioè la Sardaleasing). Attraverso quest’iniqua moltiplicazione, la Bper ha ottenuto il 51 per cento delle azioni, cioè il suo controllo, e retrocedendo il Banco di Sardegna dal 91,16 al 45,22 per cento del capitale.
Ora, al di là delle valutazioni sui vantaggi, di fatto solo unilaterali, di quest’operazione, è quel rapporto di 1 a 5,46 che desta sorpresa, perplessità ed anche critica. Si è detto che sortiva da una valutazione di un c.d. “advisor indipendente”, rimasto peraltro senza nome, come senza chiarimento alcuno sono rimaste quelle perplessità. C’è quindi da chiedersi se il socio Fondazione, anche attraverso i suoi uomini nel CdA del Banco, abbia chiesto ed ottenuto chiarimenti su quel moltiplicatore (5,46) che, a spanne, sembrerebbe privilegiare l’incorporanda e penalizzare pesantemente l’incorporante.

A questa richiesta, certamente legittima per quelle virtù di trasparenza che la Fondazione, quale affidataria di un patrimonio che è di tutti i sardi, dovrebbe mostrare ed esplicare, è seguito, purtroppo, un assordante e perdurante silenzio. Così come la stessa Regione Sarda, che di quel patrimonio in mano alla Fondazione dovrebbe essere tutrice o, almeno, vigilante, non si è per niente mossa per avere almeno dei chiarimenti.

Perché, caro direttore, ho riproposto questi fatti? La ragione sta nel fatto che se la Fondazione dovesse entrare nella determinazione di cedere parte del suo 49 per cento nel capitale del Banco, come Sassu ha giustamente ipotizzato, dovrebbe privilegiare la Bper che ha ottenuto, in virtù di vincolanti ed iniqui patti parasociali, d’avere, su queste vendite, un diritto di prelazione. Ora, per quel che si sente dire in giro, quella cessione sarebbe già in fieri, attraverso un concambio con quelle azioni Bper in corso di emissione per l’aumento di capitale in atto.
Proprio quel “concambio” ci rende avvertiti, obbligandoci a mettere le mani avanti per far sì che non si effettui un’altra operazione diseguale e penalizzante, anche perché, come sardi, non si faccia ancora la figura di polli. Se concambio dovrà essere, si faccia solo e soltanto in contradditorio fra degli advisor per ciascuna delle due parti che meglio ne determino, con equità, il valore delle singole azioni.

Il problema che si pone, a mio giudizio, sta quindi tutto nella Fondazione, nelle sue capacità e volontà d’essere e d’agire come deve un azionista attento e responsabile, impedendo che si continui la spoliazione del Banco di Sardegna, riducendo sempre più il suo radicamento territoriale e tradendo il suo ruolo storico d’essere volano di crescita per il sistema economico isolano.

A questo compito, a mio giudizio, la Fondazione è chiamata per obbligo, perché essa, pur con l’autonomia d’essere un soggetto di diritto privato, risulta affidataria di un patrimonio che è, come bene originario, di tutti i sardi. Quindi un bene pubblico. Anche mio e suo, caro direttore, e non certo un bene privato degli amministratori pro tempore della Fondazione, chiamati peraltro, dalla legge, a doverne rispondere ai “soggetti espressione della realtà locale”. Che sono poi quelli che affidano loro il mandato: Consiglio Regionale, Consigli Provinciali, Università e Camere di commercio. Queste istituzioni sono infatti delle delegatarie degli interessi dell’intera comunità dei sardi. Anche se finora sembrano assenti, quasi che quei 900 milioni di euro del patrimonio affidato dai sardi, tramite loro, alla Fondazione, non interessi.

Ma è possibile, domando infine, che la Fondazione rimanga una sorta di zona franca, senza vincoli e controlli e senza che ne risponda ai legittimi proprietari del patrimonio affidatole?

Paolo Fadda

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