La Fondazione è ininfluente. Ne prenda atto ed esca dalla proprietà del Banco

Mentre prosegue il silenzio tombale dei vertici della Fondazione del Banco di Sardegna  attorno al “caso Sardaleasing“, pubblichiamo un nuovo intervento di Antonio Sassu che ipotizza una via di uscita dalla situazione attuale. Ribadiamo che il nostro giornale è a disposizione per chiunque  voglia – dal punto di vista della Fondazione, del Banco, della Bper – dire la sua sull’argomento.

Credo che la Fondazione Banco di Sardegna non abbia il potere di influire sulle decisioni strategiche del Banco, in particolare sulla gestione del credito a favore dell’economia. La Fondazione ha una quota di minoranza molto ampia pari al 49%, che però, a mio parere, non può far valere sulla conduzione della banca.

Tutte le decisioni (si veda l’ultima riguardante la Sardaleasing) vengono prese a Modena e anche i membri del consiglio di amministrazione espressi dalla Fondazione vengono presto omologati per varie ragioni più o meno confessabili. Il comportamento del Banco di Sardegna sarebbe lo stesso anche in assenza della Fondazione. Anzi, questa non subirebbe decisioni che determinano una perdita del valore della sua quota.

Si tratta, perciò, di trarne le dovute conseguenze e uscire dalla proprietà del Banco. E’ vero che esso è patrimonio della comunità dei sardi accumulato nel tempo, ma se il patrimonio non viene utilizzato nell’interesse della regione, come avviene adesso, è più utile disporne in modo diverso. La Fondazione, quindi, dovrebbe osare di più e alienare la sua quota, forse fino a mantenere solo il 5% per esercitare un certo potere di controllo o, meglio, di conoscenza. Il totale delle risorse potrebbe essere destinato meglio allo sviluppo economico, sociale e culturale dell’isola, in accordo con l’amministrazione regionale.

In altri termini, non sono fra coloro che sostengono che la quota del 49% debba essere usata per condizionare il comportamento del Banco. E’ bene che le Fondazioni bancarie, soprattutto perché sono in qualche modo legate al mondo dei partiti politici, come hanno dimostrato gli ultimi avvenimenti di Genova e di Siena, non costituiscano il trait d’union fra politica e banche. D’altra parte, questo era lo scopo ultimo della legge Amato-Ciampi.

Il comportamento del Banco di Sardegna, e quindi dei suoi effetti sulla nostra regione, è determinato in ultima analisi solo dalla Bper. Certamente la banca ha come obiettivo il profitto, analogamente a quanto avviene per le altre imprese. Su questo non ci devono essere esitazioni e la legge Amato-Ciampi ha rafforzato questo aspetto, imponendo alle Fondazioni bancarie di scendere almeno al di sotto della quota di maggioranza, nell’aspettativa che si attenuassero le pressioni della politica.

Ma bisogna ribadire che la banca non è un’impresa qualunque. Il suo scopo primario è quello di dare credito e di sostenere l’economia. Una banca popolare, per giunta, ha la missione di favorire le piccole e medie imprese e di lavorare per il territorio. Inoltre, fra i patti col Banco di Sardegna, scritti e non scritti, c’era anche quello di valorizzare in vari modi il ruolo del nostro principale istituto di credito, di farne “una finestra aperta al mondo”. Niente di tutto questo si è verificato, anzi, il Banco è intervenuto per “salvare” la Bper dalla crisi profonda in cui si trova.

Attualmente la tendenza della Bper è sempre di più quella di fare profitti speculativi e sempre meno quella di fare credito al tessuto produttivo della regione. La vendita di titoli di vario genere e la stipula di pacchetti assicurativi, peraltro fuori mercato, sembrano essere la cosa più importante che viene imposta ai dipendenti del Banco.

In questo modo il ruolo della banca cambia rispetto a quello che si afferma in letteratura e che vorrebbe la gente. Sarebbe l’opposto di quello che tenta di fare la Banca Centrale Europea che mira ad aumentare il credito alle famiglie e alle imprese con i tassi di interesse bassi e l’enorme liquidità messa a disposizione degli istituti bancari; rappresenterebbe il contrario della logica che anima la strategia bancaria a partire dal prossimo autunno, quando il credito dovrà essere concesso sulla base della validità dei progetti e non più sulla base delle garanzie immobiliari.

Può essere positivo per la Sardegna povera di capitali ma ricca di idee. Il problema, comunque, è quello di una impostazione radicalmente diversa da quella che sta assumendo la Bper sia per l’economia sia per i dipendenti. Come diceva Papa Francesco ai lavoratori: “Non fatevi rubare la speranza”.

L’amministrazione regionale ha certamente un ruolo importante. Se la moral suasion dei nostri amministratori non è sufficiente per ottenere un diverso comportamento della Bper ( e di tutti gli istituti di credito che operano in Sardegna), credo che la Regione abbia diversi strumenti per farsi valere. Ovviamente dobbiamo partire dal fatto che la politica e le banche abbiano il corretto obiettivo della crescita.

La politica deve vedere crescere l’economia e la società regionale, mentre le banche devono vedere nel sostegno al tessuto produttivo e alle famiglie il modo di accrescere i profitti. Varie sono le leggi attraverso le quali le banche lavorano e possono guadagnare. La Regione può gestire queste attività in modo da ottenere i risultati sperati.

Le tre istituzioni, Fondazione, Banco-Bper e Regione lavorerebbero per una crescita dell’economia, svolgendo un ruolo istituzionale proprio.

Antonio Sassu

(docente di Politica economica europea all’università di Cagliari)

 

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