Trivelle, Ganau ‘scaricato’ da Pigliaru e Soru. Gavino Manca con Renzi da subito

Le trivelle hanno diviso il Pd sardo. Ecco la ricostruzione di Gavino Manca, l’unico consigliere regionale dem che si è sempre opposto al referendum.

Comunque vada col voto di domenica, nel Pd sardo dovranno prendere ago e filo per ricucire lo strappo sulle trivelle. Tutto ha avuto inizio il 17 marzo scorso, quando i due vicesegretari nazionali, Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini, hanno invitato all’astensione. Da quel momento il presidente del Consiglio, Gianfranco Ganau, l’interfaccia tra la Sardegna e il comitato referendario, è rimasto isolato, benché avesse ottenuto il mandato dalla stessa Assemblea regionale. La quale il 23 settembre 2015, col solo voto contrario del dem Gavino Manca, aveva deciso di promuovere l’abrogazione del comma 239 inserito dal governo di Matteo Renzi all’articolo 1 della Legge di stabilità. Obiettivo: trasformare in illimitata la scadenza delle concessioni estrattive nella fascia delle 12 miglia. Sardinia Post ha chiesto a Manca di chiarire cosa sia successo nel partito, visto che il 2 aprile il segretario Renato Soru si è allineato con la posizione del premier sull’astensione, mentre il governatore Francesco Pigliaru ha fatto sapere che voterà no, “perché il referendum è su una cosa infinitamente piccola e non riguarda la Sardegna (qui il post su Facebook del capo della Giunta)”.

Onorevole Manca, i suoi quindici colleghi del Pd si sono dileguati: non una parola detta in questa campagna referendaria dopo che a settembre hanno votato a favore della consultazione popolare. Lei, al contrario, era stato l’unico a opporsi.

Io credo che su quel tema ci sia stato poco approfondimento.

Sta dicendo che il gruppo consiliare del Pd ha votato con scarsa consapevolezza?

Io non ho detto questo. E mai mi permetterei di giudicare l’operato dei colleghi, sempre di altissimo profilo. Difendo solo l’idea che l’Assemblea regionale non era il luogo deputato ad affrontare la questione nazionale della scadenza delle concessioni estrattive entro le 12 miglia.

La Costituzione assegna ai Consiglio regionali il potere di chiedere l’indizione di un referendum.

Una consultazione popolare la riservo a temi più importanti.

Per esempio?

L’aborto e il divorzio. Sulla scadenza delle concessioni nella fascia delle 12 miglia si poteva concertare col Governo.

Il tavolo è saltato.

Appunto. Le dieci Assemblee che hanno promosso il referendum (Basilicata, Sardegna, Marche, Molise, Puglia, Abruzzo, Veneto, Calabria, Campania e Liguria) non hanno accettato la decisione dell’Esecutivo. Il quale aveva fatto un passo indietro sulle altre rivendicazioni, restituendo alle stesse Regioni il potere di decidere sulle trivellazioni future, oltre le dodici miglia.

Sulle scadenza delle autorizzazioni esistenti dentro la fascia delle dodici miglia, Renzi e il Governo hanno preferito strizzare l’occhio alle società petrolifere. Lo sostiene il comitato referendario: è d’accordo?

Nessuna strizzatina d’occhio. C’è stata l’esigenza di salvaguardare le piattaforme esistenti, anche per tutelare l’occupazione.

È la posizione espressa anche dal comitato del No. Eppure dei lavoratori nelle piattaforme – 74, stando ai numeri del ministro Poletti – nessuno mai se n’era occupato. All’improvviso sono diventati centrali per l’economia dell’Italia.

Se qualcuno è disposto a far tagliare buste paga, se ne assuma la responsabilità. Ma non accusi il Governo di non aver dialogato, perché la mancata correzione della Legge di stabilità sul comma 239 dell’articolo 1 non è assenza di confronto. Si tratta piuttosto di una decisione politica.

A lei pare giusto che petrolieri e società che estraggono il gas abbiano concessioni illimitate e insieme sgravi fiscali non concessi ad alcun cittadino?

Benissimo: si lavori allora alla correzione del sistema fiscale per il settore.

Per tornare sui suoi colleghi dem spariti in questa campagna elettorale: come mai la scelta di defilarsi?

Il 23 settembre il Consiglio regionale della Sardegna si era espresso su un pacchetto di sei quesiti. Ne è rimasto uno solo, visto che sugli altri cinque è stato trovato l’accordo col Governo. È quindi caduto il presupposto di quel voto. E torno a dire: su un tema così tecnico come quello delle scadenze alle concessioni estrattive nella fascia delle dodici miglia, il luogo deputato al confronto sarebbe stato la Conferenza Stato-Regioni, non il ricorso al referendum.

Renzi, tuttavia, ha paura che si raggiunga il quorum. Diversamente non avrebbe invitato all’astensione.

Nessuna paura. Il Pd ha poi dato libertà di voto.

Per il presidente Pigliaru la consultazione popolare di domenica è una cosa infinitamente piccola e che non riguarda la Sardegna. Ne condivide la posizione?

Il presidente Pigliaru ha fatto questo passaggio all’interno di un discorso ben più ampio e articolato, in cui ha affrontato il tema chiave della transizione energetica. Ecco perché voterà no. A fronte dell’impegno preso dall’Italia nella conferenza di Parigi sulla riduzione della dipendenza da idrocarburi, c’è la necessità di non fermare i pochi impianti di combustibili fossili attivi oggi. Il nostro Paese, peraltro, non ha nulla da imparare in fatto di rinnovabili: siamo leader in Europa.

Ma la green economy garantisce all’Italia la copertura di una quota minima del fabbisogno energetico, pari all’8 per cento.

L’impegno del Governo sulla riduzione delle emissioni di CO2 è anche garantito dal mancato rinnovo delle concessioni alle centrali di carbone. Fiume Santo compresa.

Lei domenica va a votare?

No. L’astensione, nei referendum, è un’espressione di voto, costituzionalmente garantita.

La sua fedeltà a Renzi non è mai in discussione.

Non si può non sostenere un premier che sta finalmente cambiando l’Italia.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

LEGGI ANCHEIl SÌ al referendum. Ganau: “Liberiamoci dalle trivelle entro le 12 miglia”

Il NO al referendum. Parisi: “Evitiamo di comprare idrocarburi dall’estero”

Referendum trivelle, voto e polemiche. Urne aperte dalle 7 alle 23

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