Legge elettorale, la rivolta dei “piccoli”

Pesce grande mangia pesce piccolo. Se la norma della nuova legge elettorale approvata dalla commissione Riforme del Consiglio regionale sardo passasse nel testo attuale, solo Pdl, Pd e Movimento 5 Stelle potrebbero affrontare le elezioni regionali con la certezza di piazzare dei loro rappresentanti in Consiglio.

L’emendamento, infatti, prevede uno sbarramento del 10 per cento per le coalizioni, del 7 per cento per le forze politiche che si presentano da sole e del 3 per cento per i partiti che si presentano all’interno delle coalizioni. In pratica, un partito che si presentasse da solo raccogliendo ottantamila voti potrebbe restare fuori dall’assemblea regionale. O – stando ai risultati delle elezioni del 2009 – una forza politica presente all’interno di una coalizione più ampia non basterebbero 20mila voti per piazzare un consigliere.

Usando come parametro i risultati del 2009 e incrociandoli con la norma, si scopre poi che le forze politiche intermedie sarebbero quasi ‘costrette’ a entrare in una coalizione, una condizione che indebolisce di molto il loro potere contrattuale. A parte Pdl e Pd, infatti, solo l’Unione di centro superò il 7 per cento (la percentuale minima che secondo l’emendamento garantisce la presenza in consiglio a un partito che si presenta autonomamente). A questo si aggiunga il fatto che – qualunque sia la nuova legge elettorale – il numero dei consiglieri calerà da 80 a 60.

Comprensibile, dunque, la levata di scudi dei ‘piccoli’. I Rossomori hanno immediatamente minacciato di abbandonare la coalizione del centrosinistra. Claudia Zuncheddu (unica eletta nel 2009 per i Rossomori, poi uscita dal partito per dare vita all’organizzazione Sardigna libera) ha parlato di un tentativo di trasferire nell’Isola il “bipartitismo oligarchico” vigente a livello nazionale.

Il capogruppo consiliare del Partito democratico Giampaolo Diana si è affrettato a precisare che il Pd non ha votato l’emendamento “ammazza-piccoli” e che, al contrario, è favorevole a garantire la rappresentanza delle forze politiche minori. Di certo nello scorso febbraio, all’inizio del dibattito sulla nuova legge elettorale, lo stesso Diana (assieme al capogruppo del Pdl Pietro Pittalis) presentò un emendamento che elevava la soglia di sbarramento dal 3 al 4 per cento. Anche allora i “piccoli”, compresa Sinistra ecologia e libertà, protestarono.

Tra le decisioni già approvate, l’abolizione del cosiddetto “listino del presidente” e la conferma degli otto collegi provinciali. E’ stato previsto un premio di maggioranza articolato in due fasce, a seconda della percentuale ottenuta dal partito o dalla coalizione vincente: oltre il 40 per cento dei voti avrà 36 consiglieri su 60, al di sotto ne avrà 33 su 60.

Ancora del tutto aperta la questione cruciale della “doppia preferenza di genere”. Cioè del meccanismo per garantire un’adeguata percentuale di presenze femminili. Attualmente le donne sono il 10 per cento dei consiglieri. Stando a decisioni in materia assunte sia a livello europeo, sia da tribunali amministrativi, la percentuale dovrebbe salire almeno al 40 per cento.

“Se la proposta diventasse legge, verrebbe inflitto un grosso colpo a principi di democrazia e di rappresentatività, una grossa fetta della società non sarebbe rappresentata”. E’ la denuncia di Irs, che aggiunge: “Con queste soglie di sbarramento, un movimento che si presenta fuori da una coalizione, con un bagaglio di 80mila voti resterebbe fuori dal consiglio regionale. All’interno di una coalizione servirebbero circa 30mila voti per eleggere un consigliere. Al contrario oggi, il meno votato del consiglio regionale, in coalizione è stato eletto con circa 800 voti. iRS che alle scorse regionali non si è alleata con nessuno con circa 30mila voti è fuori dal consiglio regionale. Questa è la legge elettorale. Chi rappresenta 800 persone viene eletto chi ne rappresenta 30mila resta fuori”.

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