L’ANALISI. Le norme sono chiare, le soluzione sono semplici

Lo scorso 28 febbraio è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica la legge costituzionale n. 3 del 2013 che ha ridotto da 80 a 60 il numero dei consiglieri regionali sardi. Tale legge sancisce altresì una serie di principi che la legge elettorale regionale – proprio in queste settimane oggetto di dibattito in Consiglio regionale – dovrà necessariamente rispettare. Uno di questi prevede che “al fine di conseguire l’equilibrio tra uomini e donne nella rappresentanza” la disciplina elettorale “promuove condizioni di parità nell’accesso alla carica di consigliere regionale”.

Comunque la si pensi in merito all’opportunità di inserire nella legislazione elettorale le cosiddette “quote rosa” o, ancor meglio, veri e propri meccanismi paritari di genere, un principio così chiaro e cogente non consente più omissioni, tentennamenti o sotterfugi, ma deve essere necessariamente attuato, pena l’incostituzionalità della legge elettorale sarda priva di adeguate norme di pari opportunità.

La disposizione più sopra richiamata non è una novità per il nostro ordinamento, in quanto già nel 2001 furono introdotte norme costituzionali simili e nel 2003 fu revisionato l’art. 51 della Costituzione che oggi così stabilisce: “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

Insomma, non possono esserci più dubbi, come ha chiarito più volte la nostra Corte costituzionale, sull’esistenza di un vero e proprio obbligo, in capo allo Stato e alle Regioni, di tradurre in disposizioni legislative cogenti il principio di pari opportunità di genere.

Risolta la questione del “se” resta quella, più articolata, del “come”. È sufficiente, ad esempio, prevedere che nelle liste elettorali non possono essere inseriti più di due terzi di candidati dello stesso genere? Oppure devono essere approvate disposizioni più efficaci come l’obbligo di alternare un uomo e una donna? Detto in altri termini: il Consiglio regionale sardo può limitarsi a prevedere delle norme “simboliche”, di facciata, o è tenuto ad individuare meccanismi in grado di favorire realmente una maggiore presenza delle donne nell’organo legislativo?

La risposta, in realtà, è scritta nella stessa riforma dello scorso 28 febbraio, dove si legge che le norme volte a promuovere condizioni di parità per l’accesso al Consiglio regionale devono conseguire il risultato dell’equilibrio tra uomini e donne. Le istituzioni europee e, da ultimo, il giudice amministrativo italiano, hanno precisato che la composizione di genere di un organo politico può dirsi equilibrata se il sesso meno rappresentato è presente almeno nella misura del 40%.

Detto in sintesi, il nostro Consiglio regionale deve mettere da parte soluzioni ambigue o comunque deboli e prendere sul serio il vincolo costituzionale, predisponendo misure applicative adeguate all’obiettivo dell’equilibrio di genere. Propongo a tal fine una soluzione che deriva dall’incrocio tra le migliori esperienze offerte dalla legislazione elettorale delle Regioni più avanzate. Tenuto conto che la legislazione elettorale sarda pare propendere, in base al progetto di legge in discussione, per un sistema di liste con voto di preferenza, si potrebbe, come previsto in Veneto, stabilire che le liste devono alternare, a pena di invalidità e senza eccezioni, una donna e un uomo. Inoltre, come in Campania, si potrebbe introdurre la doppia preferenza di genere, ritenuta dalla Consulta conforme ai principi costituzionali: l’elettore è libero di esprimere una o due preferenze ma, se decide di indicare anche la seconda, deve riferirsi ad un candidato di genere diverso rispetto a quello destinatario della prima preferenza.
Principi costituzionali inequivocabili, Corte costituzionale e giudici, esperienze regionali innovative tracciano un percorso in qualche modo obbligato e non modificabile. Soluzioni blande e inefficaci confermerebbero il sospetto che molti consiglieri regionali siano preda del timore di non essere rieletti. Se prevalesse tale sentimento sarebbero ancor più confermate le ragioni di chi non si riconosce più in partiti dominati da irritanti logiche autoreferenziali. Che i partiti dimostrino, nei fatti, che non è così.

Andrea Deffenu

(docente di Diritto costituzionale, università di Cagliari)

 

 

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