Lingua Blu, il padre del vaccino killer diceva: “Se non lo usate, sarà epidemia”

Spunta la lettera choc di Enzo Caporale, l’ex direttore dell’Istituto zooprofilattico di Teramo che decise di acquistare il vaccino dal Sudafrica.

“Si ritiene che l’Autorità competente debba chiarire quali possano essere gli effetti di una sospensione delle vaccinazioni sul territorio nazionale e della conseguente più che probabile endemizzazione dell’infezione su tutto il Paese”. A scrivere, a gennaio 2004, è Enzo Caporale, ex direttore dell’Istituto zooprofilattico di Teramo (Izs), uno dei due grandi accusati nell’inchiesta della Procura di Roma che ha fatto finire sul registro degli indagati 41 persone. Perché migliaia di pecore e mucche sono morte negli anni (500mila solo in Sardegna) proprio a causa di quell’antivirus killer che lo stesso Caporale – è la ricostruzione degli inquirenti – aveva deciso di acquistare dal Sudafrica. Ma il direttore lo difende con le unghie e con i denti. E alla sola ipotesi che la vaccinazione possa essere sospesa, come per esempio chiedevano gli allevatori (e anche una parte della comunità scientifica), lancia lo spauracchio dell’epidemia.

Caporale poteva decidere tutto sulla Blue Tongue visto che nel 2002 il ministero della Salute, guidato allora da Gerolamo Sirchia, affida all’Istituto zooprofilattico abruzzese controlli e indagini scientifiche sulla malattia. Tanto che il direttore in quella missiva scrive come dirigente del “Centro nazionale di referenza”. I suoi carteggi passavano prima di tutto nelle mani di Romano Marabelli, il segretario generale del Ministero, l’altra figura chiave dell’inchiesta.

Col sennò del poi, diventa una lettera choc quella di Caporale, non fosse altro per la Procura di Roma il direttore aveva contributo a costruire una cupola illegale con la commercializzazione dei vaccini, un’organizzazione “corrotta” e colpevole pure di falsità ideologica e rivelazione di segreti d’ufficio, sempre secondo l’accusa. Gli antivirus erano prodotti dalla società farmaceutica Merial, ugualmente finita sotto inchiesta come uno dei tasselli dell’affare.

Solo nel 2006, però, c’è l’intercettazione che fa partire le indagini: Caporale viene accusato da due colleghi di “aver creato il casino” della Lingua Blu. Basti pensare che la Regione Sardegna, unicamente per gli indennizzi, ha dovuto pagare 170 milioni di euro, senza considerare la spesa per i vaccini. Così hanno conteggiato gli assessori Elisabetta Falchi (Agricoltura) e Luigi Arru che, ieri, hanno invitato Marabelli a lasciare il Cda dell’Istituto zooprofilattico sardo, dove il segretario generale della Salute era entrato su indicazione dello stesso Ministero.

Adesso che la Procura di Cagliari ha deciso di aprire una propria indagine, con molta probabilità la lettera di Caporale finirà agli atti. Sono due pagine in tutto, in cui l’ex direttore lancia tra le righe un monito anche alla politica, e tutto suona ancora come una difesa del vaccino. “Si ritiene segnalare – è scritto – che l’eventualità di un’efficace campagna di vaccinazione appare improbabile, a meno che non intervenga una chiara espressione delle volontà politiche e non si effettuano incisivi interventi sul piano della comunicazione”.

Ci sono voluti altri due anni prima che il ministero della Salute, nel 2006 e sempre su indicazione dell’Izs abruzzese, abbandonasse il l’antivirus killer – cosiddetto vivo, perché ricavato direttamente dalla malattia – per sostituirlo con uno inerme (o spento) e costruito in laboratorio. La produzione, e forse non è un caso, è stata sempre affidata alla Merial.

Non si esclude che gli inquirenti cagliaritani faranno riferimento pure alle lettere contro il vaccino scritte dalla Regione al ministero della Salute. Mittente: l’allora assessore alla Sanità, Roberto Capelli, che mai ha ricevuto risposta sulle sollecitazioni a Sirchia e a Caporale, ai quali si segnalava, tra le altre cose, “l’assenza di un’analisi del rischio”.

Eccola una delle missive ignorate da Roma.

Capelli, quindi, sollevò la questione Blue Tongue nella conferenza delle Regioni che scrisse nuovamente al ministro per sollecitare, ancora invano, l’avvio della sperimentazione.

Del vaccino killer restano oggi solo i racconti di centinaia di allevatori sardi che non hanno ottenuto mai nemmeno gli indennizzi. I veterinari facevano firmare loro una liberatoria, nelle quali si sollevava da ogni responsabilità il personale medico incaricato dalle Asl o dell’Ara (Associazione regionale allevatori). Ma centinaia di pecore e mucche, quando non morivano, abortivano. O nella migliore delle ipotesi partorivano agnelli e vitelli deformi.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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