“L’eredità” di Cleopatra: la voragine di Monte Pino identica dopo tre anni

L’otto novembre scorso nel centro di Fukuoka, in Giappone, si è improvvisamente aperta una voragine di 30 metri che ha spezzato in due una strada a sei corsie nel cuore della città. Il buco, grande come una piscina olimpionica, è stato riparato in una settimana. In Gallura la notizia dell’efficienza nipponica ha riacceso la rabbia per uno dei simboli dell’inefficienza italiana: la strada statale 38, meglio nota come strada per Monte Pino. Qui il crollo è avvenuto oltre tre anni fa, nel pomeriggio del 18 novembre 2013, quando il ponte sulla statale 38 cedette alla forza dell’onda del ciclone Cleopatra provocando tre vittime (leggi qui).

Da quel tragico istante tutto è rimasto uguale, come cristallizzato. Sono rimaste ancora lì, sepolte dai detriti, anche le auto crollate assieme al ponte. Un’immagine simbolo dell’incapacità tutta italiana di garantire interventi in tempi accettabili, anche nei casi di urgenza. All’indomani del crollo il ripristino del ponte sulla statale 38 fu subito inserito fra le opere da concludere in tempi rapidi attraverso il regime commissariale che, gestito direttamente dall’Anas, avrebbe dovuto garantire una procedura più veloce. Il blocco della strada avrebbe infatti causato gravi disagi al collegamento fra Olbia e Tempio, diventata unica sede di riferimento della Giustizia per tutta la Gallura. Nel frattempo il regime commissariale è scaduto più volte e  più volte è stato necessario provvedere a una proroga. L’ennesima è stata fissata al 31 dicembre prossimo e c’è il rischio concreto che il Governo debba concederne un’altra perchè non ci sono ancora i presupposti per poter bandire la gara d’appalto.”Ad oggi la riprogettazione è quasi completata e si prevede che entro la fine dell’anno la convenzione verrà firmata da Anas e enti locali per poi procedere con la gara d’appalto”, spiegano i vertici Anas. L’origine di questo enorme ritardo nella conclusione della progettazione e nella formulazione del bando sarebbe da attribuire, secondo Anas, alla vecchia Provincia di Olbia-Tempio che, come ente gestore della strada, vincolò la riapertura al traffico della statale 38 alla modifica del progetto originario, finanziato da Anas con 10 milioni di euro, con l’inclusione della messa in sicurezza di un tratto più ampio di strada. Tutto da rifare, insomma, compresa la ricerca di nuove risorse economiche (15 milioni di euro) messe successivamente a disposizione dalla Regione. E ora che tutti i passaggi sembrano compiuti si apre un’altra incognita. Se con il regime straordinario ci sono voluti tre anni, con quello ordinario quanti ne serviranno?

 

 

Le polemiche. Da tre lunghi anni il territorio è come spezzato in due. Il blocco della strada di Monte Pino non crea disagi solo agli abitanti di tutti i  centri dell’alta Gallura, da Priatu a Sant’Antonio, Calangianus, Tempio, Aggius, Luras e Nuchis fino alle borgate limitrofe. Il ritardo dei lavori sul ponte della statale 38 rallenta i collegamenti e le attività economiche per imprenditori e professionisti di Olbia che hanno necessità di raggiungere Tempio, sede del tribunale. Il percorso si allunga di dieci chilometri ogni giorno. Un aggravio di tempi e spese che a fine anno incide pesantemente sul bilancio di ogni famiglia.
“Quel tratto di strada di Monte Pino per noi era vitale”, commenta Giovanni Cassitta, uno dei promotori del comitato di cittadini che da anni si sta battendo per vedere ultimati i lavori. Il comitato, coordinato anche da Giuseppina Pasella, ha sempre seguito tutto il complicato iter burocratico della strada per Monte Pino. “Ci siamo stancati di sentire, mese dopo mese, anno dopo anno, le solite promesse – spiega Giovanni Cassitta -. Durante la primavera scorsa, in piena campagna elettorale, i candidati sindaco di Olbia e Telti ci avevano garantito il loro massimo impegno per portare a compimento i lavori. Ma una volta finito il periodo delle elezioni non si è risolto nulla”. Gli abitanti dell’alta Gallura si sentono orfani e vittime di un disagio che non ha fine. Disagi per chi lavora ma anche per i soccorsi e per le forze dell’ordine in caso di necessità e di emergenze, costretti a percorrere una strada alternativa tutta curve e dossi. “È assurdo – commenta Franco Parriciato, un imprenditore di Priatu che lavora nella zona industriale di Olbia – come è possibile che in questo Paese si debba aspettare anni per la realizzazione di un semplice ponte mentre in Giappone riescono a ricostruire una voragine di 30 metri in una settimana? Questo non è più accettabile”.

Un lungo iter anche per l’inchiesta. Ci sono voluti tre anni anche per la giustizia italiana che ha aperto il processo solo il 7 dicembre scorso. L’udienza preliminare per il crollo del terrapieno di Monte Pino, che il 18 novembre del 2013 causò la morte di tre persone e il grave ferimento di una quarta, è stata presieduta dal gup Alessandro di Giacomo, che ha sostituito il collega Vincenzo Cristiano, ai domiciliari a Pozzuoli perché coinvolto in un’inchiesta della procura di Roma per corruzione. Il Gup ha accolto la costituzione di parte civile dei parenti delle persone che rimasero uccise nell’alluvione – Bruno Fiore, di 68 anni, la moglie Sebastiana Brundu, di 61, e la consuocera Maria Loriga – assistiti dagli avvocati Maurizio e Nicoletta Mani e Massimo Delogu, i quali hanno preliminarmente chiesto e ottenuto che fosse citato in giudizio il responsabile civile, ovvero la Provincia di Sassari. Fra gli imputati principali, il progettista e direttore dei lavori della strada, l’ingegnere di Calangianus Giuseppe Muzzetto, di 71 anni, i tecnici della ex provincia Olbia-Tempio, Francesco Prunas ed il collega Pasquale Russo, di Olbia, e Graziano Sini, responsabile dell’ufficio manutenzioni della ex Provincia gallurese. Alla sbarra anche Giuseppe Mela, di 64, tecnico della Provincia di Sassari e Antonio Zuddas, l’ingegnere che nel 1991 stilò un collaudo tecnico della strada. Il processo è stato rinviato all’aprile 2017.

Costanza Bonacossa

 

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