Bancarotta, Scanu muto davanti al Gip. L’avvocato: ‘Prima deve leggere gli atti’

Si è avvalso della facoltà di non rispondere Alberto Scanu, l’ex amministratore delegato di Sogaer, la società di gestione dell’aeroporto di Cagliari (ha dato le dimissioni qualche giorno fa da tutte le cariche), arrestato sabato scorso dalla guardia di finanza con l’accusa di bancarotta. Il gip Giampaolo Casula, che ha firmato la custodia cautelare in carcere, è andato a sentirlo nel penitenziario di Uta, ma l’ex numero uno di Confindustria Sardegna, difeso dall’avvocato Rodolfo Meloni, ha deciso di non rispondere all’interrogatorio di garanzia.

“Il mio assistito non conosce gli atti – spiega il difensore -. Sono 12.280 pagine che lui non ha letto e che risalgono anche a 14 o 15 anni fa, tutti raccolti dalla Procura in quattro anni di indagini. Li abbiamo appena ritirati. Una volta letto il materiale, Scanu potrà dare tutti i chiarimenti necessari”. Scontata l’istanza al Tribunale del Riesame per chiedere la scarcerazione dell’ex amministratore, o quanto l’attenuazione della misura cautelare.

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Hanno scelto la via del silenzio anche gli altri due indagati interrogati a Cagliari, entrambi ai domiciliari: la sorella di Scanu, Laura (difesa da Maria Chelo), e il commercialista Giovanni Pinna (difeso da Francesco Iovine e Mario Canessa). “Il nostro cliente avrebbe voluto esporre al giudice le buone ragioni sulla correttezza del suo operato – ha detto Canessa -. Su nostra richiesta, attesa la mole degli atti da esaminare, gli abbiamo consigliato di avvalersi”.

A Milano, infine, viene sentito per rogatoria Valdemiro Giuseppe Peviani, anche lui ai domiciliari. Secondo l’accusa, Scanu e gli altri indagati (in tutto 12) avrebbero svuotato e poi fatto fallire una decina di società, quasi tutte del ramo sanitario, provocando un ‘buco’ di 60 milioni di euro. Trenta le imputazioni contestate tra bancarotta, semplice, fraudolenta, con distrazioni e altri reati.

Dalle 163 pagine dell’ordinanza del gip, si evince che attorno a Scanu si era formata una solida rete di protezione, a cui non erano estranee nemmeno le banche, disponibili ad aiutare l’imprenditore malgrado le sue società fossero fallite o in stato prefallimentare. Il giudice riporta la relazione ispettiva della Banca d’Italia che parla di “eccessiva tolleranza e scarsa trasparenza”.

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