Per una sinistra dei sardi. Oltre le Regionali

In questa estate che avanza, più prossime si fanno le elezioni regionali, in una Sardegna stremata dalla emergenza lavoro, dalla assenza di produzioni, dalla pressione fiscale vigliaccamente demandata ai comuni, con un Pd ancora lacerato e confuso che si attarda tra primarie chiuse e aperte, distinzione e non tra segretario e premier, confronto tra nuovi e vecchi leader e correnti e persino la corrente dei controcorrente. Salvo spaventarsi per la candidatura di Michela Murgia, nessuna elaborazione critica per quella forte espressione di rifiuto del nostro sistema politico che anche lo stesso Pd, con i suoi comportamenti e le assenze dai territori, ha contribuito a creare.

È la pressione crescente delle povertà, dell’esigenza di partecipazione, della rivendicazione di nuovi diritti da parte di un sempre più vasto tessuto sociale che non riconosce più legittimità alle forme attuali della sovranità e insiste su forme di prossimità e di decentramento. Tra astensionismo e tutti a casa, né destra né sinistra e fughe dal Pd di voti e di iscritti, trova espressione l’esigenza di una nuova forma della politica che possa raccogliere in maniera consapevole ciò che pure è sempre stato al suo interno come esplicito fondamento, la vita e la qualità di vita dei cittadini. Una peste, questa, per il potere, che per difendersi, sebbene nelle forme delle moderne democrazie, prova a riassumere le vesti dell’antico Leviathano che tutto assorbe nelle sue fauci, ogni possibilità e ogni brandello di vita, e che considera le vite degli uomini solo in quanto funzionali alla sua riproduzione.

Nello sfondo un Pd nazionale che implode o brucia per autocombustione, tra i rimandi della legge elettorale e del finanziamento pubblico ai partiti, prestandosi e talvolta cooperando con la destra a quel logoramento delle istituzioni, e un governo che con il caso Kazakistan apprende adesso il metodo della retata e della deportazione, e insulti in Parlamento e silenzi intorno al Banco di Sardegna. Nessun atto di chiarezza nei confronti dei cittadini e dei militanti, in profondo spregio nei confronti di chi ha posto il problema quanto meno della inopportunità, così a ridosso della vicenda Monte dei Paschi.

Ad osservare le cose si crea un vortice che stordisce, le nostre libertà e dignità offese, eppure tutto avviene sotto il crisma della normalità. Nessun bisogno di fornire chiarimenti, ad elettori ed iscritti, come se ciò che si rende visibile negli atti del potere, quell’oscuro ventre del Leviathano, senza alcun pudore, detenesse una indiscutibile primazia proprio in quanto atto del potere che lo sottrae al giudizio politico, nella coerenza formale di regole che nulla più sanno dell’etica e persino dell’opportunità politica. Come se il potere, ormai disgiunto dal suo elemento fondante, la volontà popolare, si autolegittimasse in quanto potere e non avesse bisogno di giustificare i suoi atti, salvo scuse e ammonizioni per continuare ad essere ciò che è.

Allora dice bene Barca, di un Pd di cui non si sa più cosa sia e nemmeno chi sia, un Pd vero e un altro Pd apparente (come si è espresso efficacemente Alessandro Mongili,) smarrito quel tentativo di costruirne un’identità, un progetto fondato sulla partecipazione democratica, che ha condotto invece all’occupazione dei circoli, condannati all’immobilismo o ad essere un club di pochi amici, un vuoto nei territori di iniziative politiche, perché non si mettessero in discussione gli assetti di potere raggiunti, segregando e umiliando, chi se frega, coscienze e intelligenze. E così accade che i responsabili del tracollo elettorale in Sardegna del maggior partito della coalizione di centro sinistra si ritrovino tutti promossi in Parlamento. Forse è così che doveva andare, forse è così che ci si era accordati in un complesso posizionamento delle diverse pedine.

Quel Pd “vero” è una indecifrata e oscura macchina consociativa per la presa e la spartizione del potere, come pure è stato chiarito dalla carica dei 101, e, come è nello stile, anche questa accompagnata da silenzio.

Adesso però è tempo di trattative, di nomi, di schieramenti, di ambizioni e di regole includenti ed escludenti, mentre qualcuno palesa ancora l’intenzione di aprire anche a chi ha sostenuto in maniera determinante la giunta Cappellacci, e nello sfondo le minacce che arrivano da nuovi schieramenti e nuove candidature. E intanto Il bipolarismo a cui si è cercato di imporre il sigillo autodifensivo con lo sbarramento della nuova legge elettorale, non corrisponde più alle attese e a quanto la società civile sta esprimendo, non regge rispetto a quanto ciascun individuo avverte come necessario in una forte rivendicazione di diritti, in una forte esigenza di partecipazione alla vita politica che la politica stessa, dopo averla risvegliata, non è in grado di soddisfare.

Un potere politico ormai in forte contrasto con il corpo sociale, con l’emergenza sempre più netta di determinazioni individuali, quintessenza del diritto, non più riconducibili a classi o a ceti, un contrasto e una contrapposizione che condurrà ad un inevitabile tracollo dei partiti tradizionali, sempre più esigui benché forse vincenti con le loro quote esigue di elettorato esiguo.
Forse è tempo di incominciare a tener conto e valutare verso quali direzioni si stanno storicamente spostando i principi fondanti del diritto e del potere sovrano.

E forse è ancora possibile e auspicabile che anche il Pd sardo avverta l’obbligo di definire un programma che possa essere un progetto per la Sardegna al di là dell’immediata scadenza elettorale, slegato dalle logiche dei partiti nazionali e che possa disporsi, chiamato dalle occorrenze politiche e sociali, a rinunciare a tutto il magma colloso del suo burocratismo interno e farsi carico finalmente della complessità della Sardegna. Aprirsi in modo paritario alle diverse voci che la animano, alle molte risorse, spesso innovative sul piano scientifico e imprenditoriale, che pure sono presenti, farsi carico del suo patrimonio linguistico e di cultura, del vuoto produttivo che invece la svuota progressivamente di risorse, dello spopolamento dei territori, che definisca infine i processi necessari alla costruzione di un partito dei sardi per una chiara strategia sovranista.
La sinistra certo, nella sua inattualità, impoverisce, che sia almeno l’occasione per un nuovo inizio.

Allora forse non sarà tardi per avviare un percorso politico intorno al quale creare una sinistra dei sardi, e, raccogliere quelle molte suggestioni che arrivano dal web: pensare ad una declinazione delle indipendenze nella loro pluralità ponendo al centro di ogni progetto la questione rurale (Emiliano Deiana), puntare ad un progetto sovranista, che significa farsi carico della dignità personale di ciascuno e della responsabilità della gestione delle nostre risorse e competenze (Gesuino Muledda) e persuadersi del fallimento di un Pd che mai è riuscito ad essere (Massimo Dadea, Marina Spinetti), coglierne il limite anche storico e non solo delle persone che lo rappresentano ai vertici, e infine affidarsi alla generosità come nuova categoria dell’impegno politico (Spinetti).

Roberto Serra

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