“Coltivare riso ecocompatibile e non inquinato”: ricercatori sardi lanciano nuova tecnica

Da otto ricercatori dell’Università di Sassari riceviamo e volentieri pubblichiamo questo pezzo-intervista sul riso. L’idea di ospitare l’articolo, costruito con domande scritte dagli stessi studiosi che hanno date per risposte per facilitare la lettura nasce dagli ultimi fatti di cronaca. Ci riferiamo alla presa di posizione del ministero della Salute che ha ordinato il ritiro dal commercio alcuni marche del cereale dove è stata riscontrata la presenza di un fungicida, il triciclazolo, in quantità superiori al limite massimo fissato dal Regolamento Eu numero 983 (qui l’articolo di Sardinia Post).

Il riso è l’alimento base per metà dell’umanità. Anzi, per buona parte di essa è fonte esclusiva di energia, con nazioni del sud-est asiatico ben al di sopra di un consumo annuo pro capite di 200 chilogrammi. Sebbene il riso sia pianta di origine subtropicale, esso può esser coltivato in tutta la fascia temperata, se le condizioni di temperatura e di disponibilità idrica lo permettono. Com’è noto, in tutto il mondo il riso viene coltivato nelle cosiddette “risaie”, ove la pianta è parzialmente sommersa da uno strato di alcuni centimetri di acqua per la quasi totalità del suo ciclo biologico.

Questa tecnica di irrigazione, vecchia di millenni, non è ecocompatibile. Innanzitutto, per l’enorme consumo di acqua dolce, stimato in circa 25.000 metri cubi per ettaro il consumo medio mondiale. Poi, per l’elevata produzione di gas serra (dopo la zootecnia, le risaie sono la seconda causa di emissione antropogenica di metano in atmosfera). Infine, per il fatto che il riso irrigato tradizionalmente tende ad accumulare arsenico. Ciò avviene anche in presenza di suoli e di acque non inquinate, ma assume particolare drammaticità in quei Paesi (come il Bangladesh) ove le acque sono già fortemente inquinate dal metalloide. Da qui, l’elevatissima concentrazione nel riso che per quegli abitanti è una fonte alimentare quasi esclusiva: il risultato è che milioni di persone subiscono ogni anno avvelenamento cronico da arsenico, dalle conseguenze quasi sempre fatali.

Un gruppo di ricerca costituito da agronomi e chimici analitici dell’Università di Sassari, da anni scientificamente attivo sul tema, prova a rispondere ad alcune domande.

È possibile produrre riso privo di arsenico e in maniera ecocompatibile?

La risposta è sì e si accompagna a un’idea di fondo semplicissima, ma intrinsecamente “eretica”, perché sovverte l’unico caposaldo della sua coltivazione: quello della sommersione continua della risaia. Il professor Antonino Spanu che, unitamente al professor Gavino Sanna coordina la ricerca, ipotizzò decenni addietro la possibilità di irrigare il riso tramite la cosiddetta “aspersione”. Con essa, il suolo e la pianta, mai sommerse, ricevono periodicamente il quantitativo di acqua necessario per soddisfare le perdite dovute a evaporazione e traspirazione. Il risultato è che il consumo di acqua per ettaro scende anche del 70 per cento, senza che vi siano cali di resa. E l’arsenico? Incredibile ma vero: la sua concentrazione nel riso arriva a circa il 2 per cento di quella che si misura, in analoghe condizioni, con l’irrigazione tradizionale Questi risultati sono costanti, al variare sia del tipo di riso che dell’annata agraria. Inoltre, il suolo non allagato minimizza le emissioni di gas serra. In definitiva, la semplice sostituzione del metodo irriguo tradizionale con l’aspersione permette una produzione di riso ecocompatibile e privo di inquinamento da arsenico.

Vi possono essere altri rischi nella sicurezza alimentare del riso?

Certamente. Il riso tende ad accumulare anche un altro metallo tossico: il cadmio. Anch’esso provoca terribili avvelenamenti (famoso quello del 1912 in Giappone), con esiti spesso letali. Normalmente il cadmio è scarsamente accumulato nel riso, anche se esso viene irrigato in maniera tradizionale. Tuttavia, i media hanno recentemente riportato all’attenzione dell’opinione pubblica casi di riso italiano con contenuto eccessivo di cadmio. La siccità, che ha interessato quest’anno la Pianura Padana, ha costretto i risicoltori locali ad abbandonare la sommersione continua a vantaggio di talune tecniche irrigue intermittenti, che hanno determinato l’incremento della concentrazione di cadmio nel riso.

Quindi: utilizzando l’irrigazione per aspersione si minimizza l’arsenico ma si incrementa il cadmio nel riso?

Assolutamente no. È anzi vero il contrario. L’aspersione fa diminuire, tra il 15% ed il 50%, la concentrazione del cadmio nel riso rispetto ai valori osservati in sommersione continua. Analogamente accade anche per altri elementi tossici, quali il piombo, il tallio, l’antimonio. È stato per contro dimostrato che l’uso di altri metodi irrigui diversi dal tradizionale e dall’aspersione incrementano fortemente la concentrazione di cadmio nel riso.

Oggi chi produce e dove si compra questo riso ecocompatibile e a basso contenuto di elementi tossici?

Purtroppo da nessuna parte. Nessuno ancora produce il riso irrigato per aspersione, sebbene i risultati delle ricerche siano da tempo già pubblicati su prestigiosi giornali internazionali del settore.

Perché l’irrigazione per aspersione viene snobbata?

Le ragioni sono molteplici. La diffidenza nei confronti dei risultati della ricerca gioca un ruolo fondamentale, soprattutto a livello di piccoli produttori. Inoltre, la diffusione di questo metodo potrebbe essere ostacolata da chi teme di perdere posizioni di predominio legate alla tecnica tradizionale di irrigazione. In sostanza, l’irrigazione per aspersione dimostra che è possibile ottenere riso salubre ed ecocompatibile anche con disponibilità di pochissima acqua, sempreché le condizioni climatiche siano favorevoli. Non sono da tacere gli interessi economici di multinazionali che traggono proventi enormi dalla vendita di tutto quel che serve per la produzione tradizionale del riso.

Quale potrebbe essere il ruolo della nostra Isola in tale contesto?

Dal momento che l’irrigazione per aspersione del riso è stata messa a punto in Sardegna, ed è al 100% un prodotto della ricerca isolana, i nostri risicoltori potrebbero essere i primi a produrre un riso unico al mondo, acquisendo un vantaggio competitivo sia in termini economici che di immagine. Inoltre, la Sardegna si potrebbe proporre come Centro di eccellenza a livello mondiale per la produzione ecocompatibile di riso a basso contenuto di elementi tossici.

Firmano l’articolo-intervista: Francesco Barracu, Mario Deroma, Ilaria Langasco, Andrea Mara, Maria Itria Pilo, Gavino Sanna, Nadia Spano ed Antonino Spanu.

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