Il ministero dell’Economia e il Golgota

I malati gravissimi hanno il loro primo martire. Si chiamava Raffaele Pennacchio. Martedì e mercoledì manifestava, all’interno di un’ambulanza, a Roma davanti al ministero dell’Economia. Là dentro ha atteso la conclusione dell’incontro tra la delegazione dei suoi compagni di sventura – una sventura che si chiama Sla, Sclerosi laterale amiotrofica – e alla fine, con uno sguardo che ha incrociato lo sguardo di Salvatore Usala, ha anche gioito alla notizia della conclusione positiva della vertenza. Così, con l’unico movimento nella loro autonoma disponibilità, due corpi immobili si sono abbracciati e hanno esultato. Poi la manifestazione si è sciolta, l’ambulanza è ripartita, Raffaele Pennacchio ha avuto un infarto ed è morto.

Siamo nella zona d’ombra di quello che i penalisti chiamano “nesso di causalità”, cioè il rapporto di causa-effetto tra un evento (in questo caso la manifestazione davanti al ministero dell’Economia) e un altro evento (la morte di Raffaele Pennacchio). Darà la spunto a tesi di laurea e ad articoli sulle riviste di medicina forense. “Questione interessantissima”, diranno gli specialisti della materia.

Applicando i normali parametri di individuazione del martirio, della ‘mitopoiesi del martirio’, come direbbero altri specialisti, il caso di Raffaele Pennacchio non è affatto semplice. I nostri parametri ordinari ci dicono di martiri morti col fucile in pugno mentre saltavano da una trincea o con una pallottola vagante che va a infilarsi nel cranio durante un corteo. Ci raccontano di uomini validi morti sotto tortura, di eroi che offrono la propria vita in cambio di quella di condannati a morte. Nel nostro ordinario martirologio – che sia religioso o laico – il nesso di causalità non è mai in discussione.

O forse sì. In effetti c’è un caso mai risolto. Quello di un martirio subito totalmente, nel modo più doloroso e feroce, pur potendoselo evitare. Essendo, il martire in questione, dotato di poteri illimitati e della protezione più alta. Nelle lezioni di catechismo, prima o poi c’è un bambino che alza il dito e domanda perché mai Gesù, essendo figlio di Dio, all’ultimo momento non abbia fatto saltare in aria i suoi carnefici, trasformato la croce in un missile, e non sia volato su, in cielo, alla faccia dei suoi assassini.

E’ una questione filosofica e teologica spaventosamente complessa, che chiama in causa non solo l’esistenza, ma addirittura la natura di Dio. Le risposte variano a seconda della qualità dei catechisti e dell’età dei loro discepoli, ma vanno sempre a parare nel tema della libertà dell’uomo. Nel caso della mancata fuga di Gesù Cristo dal Golgota, le risposte sottolineano che a morire era Dio che si era fatto uomo proprio per mettere davanti agli occhi degli uomini lo scandalo della loro libertà di determinare il proprio destino.

Che somiglia molto a quanto hanno fatto Raffaele Pennacchio, che è morto, e  tutti gli altri malati di Sla che al contrario di lui sono sopravvissuti alla prova fisica di una manifestazione di piazza in due umide e calde giornate romane. Hanno detto, con la loro presenza muta e precaria, che la libertà è la coscienza di se stessi e dei propri diritti. Diritti che hanno il loro fondamento nell’essere, nell’esistere, anche quando il confine tra la vita e la morte è diventato così sottile che una parte considerevole dei vivi non sa più se collocare il tuo sguardo in questo mondo o in quello che forse verrà dopo. E affiderà la qualificazione della tua morte come martirio non alla propria coscienza mai ai risultati di un’autopsia.

G.M.B.

 

 

 

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