Il capitale del Banco di Sardegna “emigra” al di là del Tirreno

Ormai sembra tutto deciso: dal 1° gennaio del 2019, di Sardegna, nella nostra banca della “pintadera”, potrebbe non rimanere altro che il nome. Infatti (se le notizie che ci pervengono da un’autorevole fonte emiliana rispondono al vero), il 49 per cento del capitale del Banco di Sardegna (posseduto dalla Fondazione ex bancaria presieduta da Antonello Cabras), entro il dicembre di quest’anno passerebbe di mano.

Non è difficile comprendere chi ne possa essere l’acquirente, giacché è notorio che il Banco di Sardegna, ormai da diversi anni è sostanzialmente una dipendenza della “BPER Banca” (l’ex Popolare dell’Emilia Romagna) che ne possiede l’altro 51 per cento. D’altra parte, lo stesso Ceo di quella banca, Vandelli, intervistato da un importante giornale nazionale, ha confermato l’interesse a quest’operazione.

Più difficile è comprendere a quale valore quel 49 per cento potrà essere acquistato. Si sa che la Fondazione lo porta in bilancio a circa 350 milioni di euro, mentre una valutazione orientativa, effettuata di recente da una società di revisione, lo stima a non molto di più di un terzo. Neppure si hanno notizie attendibili sulle modalità dell’acquisto, né si sa se tra gli acquirenti ci sia anche Unipol (ipotesi che deriva dal ruolo importante che Unipol ha in BPER). Certo è che per la Fondazione risulterebbe assai pesante contabilizzare nel bilancio 2018 una possibile, importante minusvalenza. Anche se, viste le ripetute pressioni del Ministero vigilante, si trova obbligata a doversi liberare quanto prima della partecipazione bancaria detenuta.

Questo è tutto quanto risulta dalle nostre fonti extraisolane, giacché qui nell’Isola un’operazione di questa portata, pur riguardante la cessione di uno degli assets strategici della nostra economia, procede nel silenzio, nemmeno si trattasse del passaggio di proprietà tra unu tziu Mondiccu e una tzia Mariedda per un’edicola di periferia o per un box del mercato. Noi di Amsicora abbiamo cercato di capirne di più perché la vendita di una banca (o il passaggio di proprietà di 300 e passa milioni di euro) non è cosa dappoco, non solo qui in Sardegna. Oltretutto riguarda la vendita di un qualcosa che è di proprietà pubblica (come dice la legge Amato-Carli), cioè di tutti i sardi. Cioè anche di noi che scriviamo queste note e di voi che ci leggete.

Ora, che la Fondazione di Sardegna non si debba occupare più di banche – visti i risultati non certo brillanti conseguiti nei quindici anni e passa anni in cui è stata coazionista del Banco di Sardegna – ci pare un fatto positivo e, tutto sommato, da approvare. Quel che lascia perplessi sono le modalità con cui questa cessione (necessitata, ricordiamolo, da un obbligo di legge) pare essere stata poi gestita. I nostri lettori sanno bene come fosse in ballo ormai da molto tempo. Ricorderanno (ne abbia ampiamente scritto) delle trattative avviate da un importante Fondo d’investimento americano (direttamente, o per conto di una committenza terza) con la Fondazione e con la Bper per acquisire il controllo azionario del Banco di Sardegna. Nell’intento – si disse – di ridargli quell’autonomia gestionale che ne aveva compresso e mortificato il suo ruolo di sostegno all’economia isolana (il suo peso nel mercato bancario sardo, che nel 1990 era giunto al 62 per cento, s’era ormai ridotto a poco più del 30 per cento.

Da allora in poi sono avvenute altre spoliazioni, con la cessione ai modenesi della Banca di Sassari (trasformata niente altro che in una società-prodotto) e il contemporaneo acquisto da parte del Banco del suo parco filiali: un’operazione che è apparsa un puro e semplice restyling contabile, finalizzato a evidenziare delle plusvalenze e “abbellire” il bilancio.

Infine, ad una nostra precisa domanda, l’amico emiliano ci ha suggerito di non trascurare in alcun modo il ruolo avuto nell’operazione dal dottor Carlo Cimbri (cagliaritano e, oggi, uno dei personaggi più influenti della finanza nazionale come Ceo di Unipol-Sai): perché – a suo giudizio – la contemporaneità dell’ingresso del suo gruppo nel tutoraggio strategico di BPER e la caduta della trattativa della Fondazione con il Fondo USA, può aver avuto la sua determinante importanza. D’altra parte non è difficile comprendere quale sponda amica abbia potuto favorire quella mutazione d’indirizzo da parte della Fondazione.

Ora cosa accadrà? Con il Banco di Sardegna tutto in mano alla finanza emiliana c’è certamente la possibilità di una fusione in BPER e, quindi, che il Banco sparisca fra i brand dell’economia isolana. Certo si è giunti ormai allo showdown, e sarebbe doveroso ed opportuno che la Regione e i vertici della Fondazione chiarissero ai sardi i contenuti e i possibili vataf, almeno ora, sia il Governatore Pigliaru che il presidente Cabras chiariscano pubblicamente ai sardi il senso, i contenuti ed i possibili vantaggi (che non francamente abbiamo difficoltà a vedere) dell’operazione. Un’operazione che sarebbe una pagina della storia dell’Isola.

Amsicora

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