Migranti, a San Sperate sardi e africani lavorano assieme nell’orto sinergico

Sardi e migranti che si scambiano pratiche e competenze: succede  a circa 20 chilometri, nel paese-museo dello scultore Pinuccio Sciola. A San Sperate,  Massimo Planta, fondatore tre anni fa dell’associazione  sociale e culturale ‘Terre Colte’,  ha trasformato un terreno di circa tremila metri quadrati, incolto e abbandonato, in una residenza di campagna – la “Fattoria Giulia” – e in  in un orto condiviso, frazionando l’area in quaranta spazi di 50 metri quadri ciascuno. Gli spazi ora sono frequentati da una trentina di famiglie con molti bambini, e vengono utilizzati non solo per la coltivazione e raccolta degli ortaggi di stagione ma anche come valvola di sfogo dallo stress quotidiano, spesso cittadino, e come mezzo di socializzazione.

Ognuno ha il suo orticello e può coltivarlo a qualsiasi ora del giorno, dall’alba fino al tramonto, con meno di un euro al dì. Ed ecco che varcando il cancello sempre aperto del terreno che ospita gli orti di chi magari abita in città o non dispone a casa propria di un pezzo di terra da coltivare, spunta subito una cucciolata di gattini, poi un pollaio con galline che producono le uova di giornata, anatre e oche che passeggiano liberamente.

Subito dopo c’è un vialetto dove si affacciano i piccoli orti, tutti ben serviti: servizio di irrigazione quotidiano, energia elettrica, assistenza, attrezzi, armadietti. Spuntano le foglie dei cavoli che stanno nascendo, erbe aromatiche, fragole, barbabietole, qualcuno ha scelto anche di piantare dei fiori per abbellire il proprio spazio. Qualcuno gli ha dato anche un nome, qualcuno l’ha marcato con la frase di una poesia, un concetto scritto su un cartello o su una pietra:  amore, condividere, comincia, vita, forza, salute.

Da qualche settimana nella “Fattoria Giulia” c’è uno spazio speciale di 100 metri quadri: il progetto ‘Terra e coesione’. L’idea è partita dall’associazione ‘La rosa roja’ che opera insieme a una decina di associazioni con il ‘ForumSad‘, la più grande rete di sostegno a distanza. Da qualche anno, ‘ForumSad’, assieme alla ‘Fondazione con il Sud‘, realizza nel Sud Italia e nelle isole  progetti di formazione e istruzione, il particolare  laboratori artigianali, scuole di mestieri, gemellaggi. Il progetto “Terra e coesione” è uno di questi. Coinvolge un gruppo di sardi che lavorerà la terra a stretto contatto con un gruppo di richiedenti asilo della provincia di Cagliari. E così se da una parte i primi possono riprendere in mano una passione ormai dimenticata nel tempo, quella per la terra, e nel frattempo socializzare con persone che appartengono a una cultura diversa, dall’altra i ragazzi arrivati in Sardegna in fuga da guerre e fame possono imparare un mestiere e anche l’italiano partendo dai concetti di base dell’agricoltura, scambiando anche idee diverse di coltivazione.

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L’idea segue la proposta lanciata dal Beppe Servegnini sul New York Times qualche mese fa: “Le terre incolte in Sardegna diamole ai migranti”.

Sette ragazzi, arrivati con altri 656 migranti a bordo della Siem Pilot nella nostra isola a ottobre, sono già stati ‘istruiti’ da ‘Terre colte’ attraverso un laboratorio teorico di agricoltura sinergica insieme a un gruppo di sardi, seguito poi da uno pratico che ha fornito le basi per ‘costruire’ un orto sinergico. Da un mese, arrivano a San Sperate due volte alla settimana, senza guanti iniziano prima di tutto a togliere le erbacce che spuntano tra la pacciamatura. Li abbiamo incontrati

Hamzar Sebenè, 19 anni, del Burkina Faso, distingue subito l’erba da eliminare dall’altra. D’altronde il suo sogno è proprio quello di avere un pezzo di terra per coltivare gli ortaggi, era il suo lavoro quando ancora viveva in Burkina Faso. Nel frattempo frequenta un corso di italiano e di inglese, ed è contento di far parte del progetto ‘Terra e coesione’, sperando che questo possa garantirgli un futuro migliore. Ogni tanto si concede una pausa, raccoglie qualche fragola, la lava accuratamente e la offre alle persone che ha intorno.

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Lyonel Ngono invece arriva dal Camerun, ha 26 anni, nel suo paese faceva il ballerino e il rapper, lui vuole imparare un mestiere che gli permetta di avere un’indipendenza economica. “Questo si chiama pomodoro, ripeti Hamzar”, gli dice Andrea Lecca, un volontario che da un paio di mesi opera all’interno dell’associazione ‘La Rosa Roja’ mentre gli mostra una pianta di pomodori e lavora la terra insieme ai migranti, Hamzar ripete, con la pronuncia di chi non parla italiano, ma ci prova più volte. Lyonel chiede di ripetere in francese, perché non ha capito cosa ha detto il volontario, allora Elizabeth Rijo, presidente dell’associazione ‘La rosa roja’ interviene per aiutarlo e gli spiega lo stesso concetto in francese. Tra loro c’è anche Antonio Caredda, un altro volontario che da un paio d’anni si è messo a disposizione dell’associazione. Gli altri ragazzi in carico alla casa di accoglienza dell’associazione sono assenti perché stanno seguendo le lezioni dei corsi di informatica, italiano e inglese. Ognuno di loro ha un sogno diverso che l’associazione, come può, cerca di realizzare.

Lo racconta la presidente Elizabeth Rijo: “Tra noi c’è Thomas, arriva dalla Costa d’Avorio, ha un diploma alle spalle ed è un creativo, vorrebbe commercializzare delle magliette dove vengono raffigurati alcuni disegni che ha realizzato lui, sono dedicati alla Sardegna perché si è innamorato della nostra terra. Poi c’è Pascal, lui vorrebbe aprire un autolavaggio manuale, ma sa anche cucinare molto bene, per questo stiamo organizzando una cena durante la quale si mangeranno solo piatti cucinati da lui. Oscar invece vorrebbe fare il barbiere, stiamo cercando qualche corso per parrucchiere perché si deve perfezionare con i capelli europei, sa trattare per ora molto bene solo quelli africani”.
Mentre Elizabeth racconta i loro sogni, Lyonel e Hamzar, con un picco in mano e tanta buona volontà continuano a lavorare la terra dove hanno piantato un centinaio di varietà tra cavoli, pomodori, basilico, sedano, zucchine, peperoncini, bietole, insalate, fragole, melone e cipolla.

“L’obiettivo è quello di far raggiungere un’indipendenza anche economica ai ragazzi – spiega Massimo Planta presidente dell’associazione ‘Terre Colte’ – noi insegniamo loro l’italiano e loro il francese a noi, e vogliamo conoscere i loro prodotti”. Ma il progetto di ‘Terre Colte’, che ora conta quasi 30 mila metri quadri di terra destinata ad orti condivisi tra Decimo, San Sperate, Assemini, Flumini di Quartu e tra pochi mesi Capoterra, è ben più ampio. “Lo ingrandiremo in un terreno qua vicino che abbiamo avuto in comodato d’uso, si tratta di 2500 metri quadri dove si potranno trovare diversi prodotti – ha precisato Planta – così i ragazzi potranno creare una loro attività”.

Monica Magro

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