Il sogno del calcio nasce nella polvere. Negli anni ’80 il miracolo del La Palma

I sogni nel calcio esistono anche se prendono forma lontano dalle grandi platee, dai riflettori delle notturne delle grandi sfide europee e privi della ricchezza che ormai fa un binomio inossidabile con il mondo del pallone. La squadra cagliaritana del La Palma lo ha vissuto, con un salto dai campionati minori sino alla serie C, come racconta Laura Fois nelle pagine del Manifesto. Per raccontare questa storia di successo e rivalsa sociale bisogna innanzitutto andare indietro nel tempo, agli anni Ottanta quando il calcio era molto diverso da oggi. Un gruppo di ragazzi guidati da Bernardo Mereu, allenatore conosciuto nell’Isola che adesso è responsabile della Cagliari Football Academy contribuendo a formare il settore giovanile della squadra rossoblù.

Era lui l’uomo che ha regalato il sogno a un quartiere popolare di Cagliari, La Palma, che dava il nome all squadra in cui militavano ragazzi dai 16 ai 27 anni. Mereu, come racconta Laura Fois, è stato un ragazzo che dai 10 ai 13 anni aveva vissuto da solo, dai Salesiani, ed era tornato nel capoluogo sardo già uomo, dove i suoi genitori vivevano, proprio a due passi dal campetto di terra grigia che l’avrebbe iniziato alla carriera di allenatore. Il calcio rappresentava un’alternativa alla strada, un modo per impegnarsi in uno sport e inseguire un sogno. Dopo un’esperienza da calciatore, Mereu individua la sua vera passione, ossia allenare e così comincia guidando la Superga, seconda squadra del quartiere, con cui ottiene buoni risultati. Poi, la preside della scuola gli propone di seguire la squadra dell’istituto scolastico e così a 16 anni allena tutti i ragazzi del vicinato: “Vivevo per quello la mattina andavo a scuola, la sera al campo. È stato un periodo di privazioni, perché pur essendo coetaneo dei miei giocatori non potevo fare la loro vita. Non andavo a ballare, non mi mascheravo a carnevale”.

Nel frattempo la storia calcistica del La Palma era a tinte grigie perché la prima squadra del quartiere inanellava insuccessi e retrocessioni. Fu allora che il presidente Fiore Verderame chiede al diciannovenne Mereu di allenare la sua squadra. “È stato come ricevere una proposta dalla Juventus. Ho accettato subito, gratis”. È l’inizio di un sogno che durerà sette anni in cui Mereu centra insieme ai suoi ragazzi sei promozioni. Una cavalcata dalla seconda categoria sino al campionato di serie C con tre turni di allenamento: “Dalle 15 alle 17  era il turno degli studenti – racconta Mereu – poi c’erano le altre due sessioni dalle 18 alle 20 e dalle 20 alle 22 con quelli che lavoravano o facevano i turni di notte”.

Una fatica su un campo da gioco di cui Mereu ha sempre avuto cura tanto che viste le ristrettezze economiche della società “la mattina andavo a tracciare il campo di nascosto e pulivo gli spogliatoi. La panchina l’ho costruita io. Se questa striscia di vittorie e promozioni fosse stata realizzata in un’altra regione, probabilmente avrebbe avuto ben altro risalto”. Il debutto in serie D rappresenta un record per una squadra del Cagliaritano che debuttava in un campionato nazionale. Inoltre, in quegli anni il Cagliari viveva un periodo buio con problemi societari e sportivi: “Facevamo più spettatori del Cagliari, che era in C1 ed era allenata da Claudio Ranieri, col quale la squadra ritrovò entusiasmo, risalendo di nuovo di categoria fino alla serie A. Siamo arrivati a un passo dal derby di Coppa Italia. Quel successo è durato un soffio di vento. Giocavamo in alternanza al Sant’Elia, che conteneva ben 60mila tifosi“.

Poi il destino volta le spalle al La Palma quando durante una partita che doveva essere importante nell’alta classifica della serie C. A Cagliari il La Palma ospita il Siena, ma in contemporanea gioca la Nazionale alla Tv e al Sant’Elia sono solo dieci gli spettatori paganti. In quel momento si spegne qualcosa di irripetibile e la magia si spezza anche a livello societario. Il La Palma fallisce e riparte dalla terza categoria, mentre la fede calcistica dei sardi torna come la parabola del figliol prodigo a centrarsi sulla squadra del cuore. Dopotutto, il Cagliari aveva vinto il suo primo e unico scudetto nel 1970, diventando anche la prima società calcistica del Mezzogiorno a raggiungere un tale traguardo. Mereu faceva le scuole elementari, era un bambino che sognava a occhi aperti.

La storia di Mereu è quella di tanti sardi con talento che hanno optato per stare nell’Isola forse pagando le proprie scelte perché in altri luoghi avrebbero potuto ottenere molto di più. In compenso, ha allenato quasi tutte le squadre sarde più importanti e lanciato molti giocatori. La storia ha deciso per lui che dopo oltre 40 anni di carriera di allenatore, sia oggi responsabile del settore Academy proprio del Cagliari Calcio, dove istruisce gli allenatori e fa il talent scout di cinquemila bambini. Altre generazioni e vivai che contribuirà ad appassionare al calcio. Uno sport che negli anni ‘80 era l’unico divertimento e la più bella distrazione dei giovani. Per molti, una vera e propria salvezza. “Erano tempi durissimi, molti ragazzi sono morti di Aids e qualcuno è sfuggito pure a me. Uno l’ho visto non pochi anni fa in una delle vie principali di Cagliari. Era completamente fatto e voleva vendermi delle sigarette. Gli avevo dato dei soldi senza voler niente in cambio. Gli chiesi cosa ne avrebbe fatto, sperando che li impiegasse per rifocillarsi, ma me lo fece intuire. Due giorni dopo, lo ritrovai nei necrologi del giornale. Era morto di overdose”.

Oggi uno dei protagonisti del ciclo memorabile del La Palma gestisce un negozio di animali. Si chiama Corrado Esposito, capitano e leader silenzioso di una squadra la cui storia dovrebbe fare ancora rumore. “Corrado avrebbe sicuramente meritato la serie A”. Stessa sorte sarebbe toccata al suo ex allenatore? Nessuno lo saprà mai, ma forse la sua missione è sempre stata quella di far esaudire i sogni degli altri. O semplicemente di mantenerli vivi. Per non spegnere quella passione che può diventare anche occasione di riscatto. Perché nelle difficoltà i valori restano, e generazioni di sportivi si contenderanno per sempre un sogno mentre la storia ricorderà solo i vincitori. L’importante è prepararsi per arrivare pronti ai giochi del destino.

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