A Gavoi con Chiaberge e Dondero: “Marconi? Uno Steve Jobs ante litteram”

Arrivare a Gavoi con 30 gradi all’ombra, fa parte dei riti del Festival. Undicesima edizione, e la formula non cambia. Le foto di Daniela Zedda appese alle pareti, il bicchiere di bianco in piazzetta, scrittori, giornalisti, fotografi, addetti ai lavori e volontari che si incontrano tra le mura di pietra del “Santa Rughe” davanti a un piatto di gnocchetti sardi felicitandosi che, anche per quest’anno, saranno tre giorni ad alto tasso di giornalismo e letteratura.

L’undicesima edizione del festival letterario di Gavoi è partita giovedì sera dai giardini di Binzadonnia, con le note di un “Concerto per l’Europa” lanciate dal cuore antico di Barbagia: musicisti olandesi, inglesi, rumeni, polacchi accompagnati dalla voce di pietra dell’autoctona Filomena Campus a mettere in musica la storia del “Parsifal” inebriati dal profumo inebriante dei tigli in fiore.

Tigli che avrebbero incantato anche Wislava Szymborska, poetessa polacca, premio Nobel nel ‘96, cui il festival quest’anno, in occasione del 91mo anniversario della sua nascita, è dedicato. Negli spazi della ex Casa Lai sono esposti i 25 collages realizzati dalla poetessa e spediti ad amici e conoscenti nell’arco della sua vita: delicati cartoncini disegnati, ritagliati, incollati, un lavoro certosino fatto di pazienza e forbici, accompagnati dall’ironia di pensieri e schizzi.

Non solo collages i protagonisti delle belle mostre di Gavoi, ma anche la fotografia abitata da un’idea ossessiva: il filo continuo dell’orizzonte. E’ quella che ha guidato Antonio Rovaldi (allestita sempre nelle sale della ex casa Lai con la collaborazione del Man di Nuoro) epigone emiliano per alcuni versi del sassarese Rumundu, che partito da La Spezia è arrivato a Trieste masticand chilometri e fatica (“assieme a una buona dose di banane”), alla ricerca di un ideale nastro blu a impacchettare l’Italia intera.

Venerdì mattina, ad inaugurare gli incontri “Dal Balcone”, la poetessa e scrittrice oristanese Savina Dolores Massa. “Ho iniziato a scrivere per salvarmi –ha raccontato- perché nella poesia non c’è menzogna. Amo donare le parole e pretendo che i miei lettori facciano lo stesso sforzo che metto nella scrittura. La fioritura che vive costantemente nel mio cervello è una benedizione e una maledizione al tempo stesso. Come il mare che mi circonda: filo spinato e meraviglia. Per questo occorre partire. Almeno con la fantasia”.

Il “Mezzogiorno di fuoco” è toccato infine a due assi del giornalismo e del reportage: Riccardo Chiaberge, penna del Corsera e Mario Dondero, leggenda vivente del fotogiornalismo mondiale. Cittadino del mondo, fotoreporter dal Vietnam all’Africa, Dondero reputa l’isola di Cuba il posto più seducente dove vivere. “Fidel era un’anima buona che ha cercato di cambiare il mondo alla sua maniera –racconta- mi divertivo a chiacchierare con lui di politica e carne chianina…”.

E dalla leggerezza che scolpisce il viso antico di Dondero si è poi passati alla modernità senza tempo di Guglielmo Marconi, protagonista dell’ultimo libro di Chiaberge: “Lo immaginavo come un vecchio trombone, un personaggio da museo, invece ho scoperto uno  Steve Jobs ante litteram. Una cosa è certa: senza di lui oggi non avremmo l’Iphone. Ed io che vivo abbracciato all’Ipad, non so ancora se considerarla una sciagura”.

(Nella foto l’incontro con Chiaberge e Dondero)

Donatella Percivale

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