L’ANALISI. Il Consiglio regionale sardo: dal Porcellum al Porchettum

C”è un filo, o meglio uno spago logoro, che lega gli ultimi atti legislativi del consiglio regionale sardo: l’esigenza di tutelare in primo luogo i suoi membri, in seconda battuta i partiti di appartenenza. Quanto ai cittadini, si arrangino. O si rivolgano ai medesimi consiglieri e ai loro partiti: le Regionali ormai sono vicine e con la promessa del voto si può sperare di raccogliere qualche briciola caduta dal lauto piatto del potere.

Il primo atto è stata la “nuova” legge elettorale. A renderla necessaria, come è noto, è stata l’approvazione nel febbraio scorso della legge costituzionale che ha ridotto il numero dei consiglieri da 80 a 60 e ha anche prescritto l’adozione di norme che favoriscano la realizzazione nella futura assemblea di un adeguato equilibrio di genere. Equilibrio che oggi non c’è, perché le donne sono appena il dieci per cento dei consiglieri mentre sia le direttive europee, sia la giurisprudenza dei tribunali amministrativi hanno detto che si può parlare di “equilibrio” quando si raggiunge almeno il 40 per cento.In parole povere, l’attuale consiglio è gravemente squilibrato: le donne dovrebbero essere almeno 32, e invece sono 8.

Cosa ha fatto l’assemblea sarda? Prima di tutto, nel voto segreto, ha eliminato la norma che prevedeva la “doppia preferenza di genere”, lo strumento sperimentato con successo alle ultime elezioni amministrative e alle Regionali in Campania. Ha approvato solo un articolo che impone la presenza di almeno un terzo di donne nelle liste. In modo che anche nella improbabilissima eventualità che tutte le donne candidate fossero elette, l’auspicato “equilibrio” non sarebbe raggiunto. Insomma, una legge anticostituzionale. Alla quale si è coerentemente tentato di porre rimedio con un emendamento  anticostituzionale che prevedeva per le donne una “riserva” di venti seggi (ancora una volta al di sotto della soglia minima del 40 per cento) e che comunque è stato sonoramente bocciato.

Sono cose che sfuggono alla logica e al buon senso. Che, però, hanno una spiegazione banalissima. Aritmetica, addirittura. Se l’equilibrio fosse garantito, 36 degli attuali consiglieri regionali maschi non avrebbero alcuna speranza di tornare a occupare la loro poltrona, quindi meglio una legge anticostituzionale. Chissà che nel frattempo non succeda qualcosa.

Ma non è tutto. Come è ben noto – tragicamente noto visto quel che è accaduto in campo nazionale col Porcellumuna legge elettorale dovrebbe servire soprattutto a garantire la governabilità. Se non raggiunge questo scopo è una legge non solo inutile ma anche dannosa. Lo raggiunge la “nuova” legge elettorale anticostituzionale della Sardegna? Naturalmente no. Infatti nel caso in cui il presidente eletto superi da solo il 60 per cento dei voti, il premio di maggioranza non scatta e i seggi vengono distribuiti in modo proporzionale tra i partiti. Col risultato surreale di rendere immediatamente debole (o addirittura privo di maggioranza) un presidente eletto in modo plebiscitario.

Sono evidentemente cose da matti. Comprensibili solo a chi conosce la logora ‘koinè’ di un Palazzo dove si spaccia per difesa della democrazia la tutela delle mediocrità. L’indebolimento della figura del governatore è funzionale agli apparati di partito e alla conservazione del loro potere di controllo sul denaro pubblico. Un controllo che si esercita col ricatto.

Non a caso tutto il sistema degli sbarramenti del Porcettum  sardo non ha nulla a che fare con la governabilità ma, ancora una volta, con la tutela dei posti. Le soglie di sbarramento servono a evitare la frammentazione delle forze politiche. La “nuova” legge elettorale, però, non prevede alcuno sbarramento per i partiti che si presentano all’interno delle coalizioni, mentre ne stabilisce uno molto alto – il 5 per cento – per chi va da solo. Questo con l’evidente scopo di indurre i partititini a entrare comunque in qualcuna delle aggregazioni esistenti. Ostacolando contemporaneamente la nascita di nuove coalizioni con una soglia di sbarramento del 10 per cento. Sarebbe stato più semplice e onesto introdurre un norma che prevedesse l’impossibilità di candidarsi per le donna nate a Cabras che si chiamano Michela. 

Chiusa, si fa per dire, l’indecorosa vicenda della legge elettorale, il Consiglio è passato all’esame della questione delle province. Siamo alla cronaca di questi giorni. Col centrodestra che propone il commissariamento di quattro province “nuove” e di una “vecchia”, quella di Cagliari retta (malamente) dal centrosinistra. E con i risultati del Referendum di un anno fa, ignorati appunto per un anno intero, creativamente reinterpretati in funzione del controllo sui territori in vista delle solite Regionali. Ma per fortuna che c’è l’ex capogruppo del Pdl Mario Diana che ancor una volta butta sul tavolo l’asso pigliatutto della politica isolana: il voto segreto. Con l’illusione che basti nascondere la faccia per non perderla.

G.M.B.

 

Auguri. Soprattutto al popolo sardo. Speriamo che almeno la fortuna ci soccorra.

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