Confindustria e Autorità portuale ci credono: ma deve essere “doganale”

L’oggetto del desiderio si chiama Zona franca doganale, e ci stanno lavorando in due: Autorità portuale e Confindustria. Con Piergiorgio Massidda, ex senatore pidiellino, in sella alla prima, mentre la potentissima associazione di categoria è guidata da Alberto Scanu. Nel mezzo Maria Rosaria Randaccio, la leader dei Movimenti civici per la Zona franca. La signora sgancia la bomba: «Ovvio che facciano sponda, Massidda e Scanu sono cognati».

L’AUTORITA’ PORTUALE. Il presidente lo dice solo alla fine, ma meglio sgombrare subito il campo dai dubbi. «La politica industriale – appunta lui – non si decide con Novella 2000 in mano. La nostra parentela è ininfluente, ma credo che la signora stesse scherzando». Di certo, l’ex parlamentare fa sul serio, e parecchio: «Domani non andrò a Roma solo perché ho un incontro importante con una persona in arrivo da San Francisco, un progetto per la grande Cagliari. Ma appoggio la battaglia del presidente Ugo Cappellacci». Il numero uno dell’Autorità portuale ha una convinzione: «La Zona franca integrale non si può ottenere nell’immediato. Ma se la cancelliera Merkel riaprirà i giochi, come sembra, dobbiamo farci trovare pronti. La Germania punta a istituire la cosiddetta Zes ad Amburgo, e pensa di dare la stessa opportunità alla Grecia. È fondamentale che la Sardegna sia in prima linea».

L’ALTERNATIVA. Massidda, nel frattempo, intesse il suo progetto.  «Bisogna scommettere sulla Zona franca doganale. Ha un costo altissimo, di almeno cento milioni. E di questo una buona parte serve solo per la recinzione. Ecco: noi crediamo che si possa aggirare l’ostacolo investendo inizialmente su un’area piccola. L’Agenzia delle dogane è favorevole, abbiamo già fatto una serie di incontri. Da parte nostra c’è tutta la volontà di accelerare».

QUERELLE APERTA. In riva al porto di Cagliari segnano il passo anche le carte bollate, ma ormai la guerra è arrivata alle battute finali. Si tratta dello scontro tra Autorità portuale e Consorzio industriale Cacip. Tutto ruota intorno ai terreni che il secondo ha venduto alla Grendi (ha in mano la logistica dello scalo), ma il Demanio (gestito dagli uffici di Massidda) rivendica la proprietà. Non solo: la società sta pagando due volte. Sia per l’acquisto che per l’occupazione del suolo marittimo. L’appuntamento davanti al Consiglio di Stato è vicino. L’ex senatore dice: «Appena si pronuncerà il massimo organo della giustizia amministrativa, si può procedere con la definizione della Zona franca doganale, partendo da uno spazio ridotto, e non da tutti i 900 ettari dell’area portuale».

 L’ASSOCIAZIONE. Sulla battaglia di Cappellacci per la Zona franca integrale, gli industriali della Sardegna non hanno mai nascosto la contrarietà. Tanto che a Roma «non andiamo», ribadisce Scanu. Il presidente dell’associazione chiarisce: «Noi imprenditori siamo i primi a credere nei sogni, diversamente non faremmo questo mestiere. Ma bisogna essere realistici. Le battaglie su cui impegnarci sono altre, cioè quelle che realmente possono portare risultati. Mi riferisco al tema dei trasporti, all’abbattimento dei costi per l’energia o al Patto di stabilità da rinegoziare, come succederà entro settembre».

Scanu non ha alcuna intenzione di ritagliarsi un ruolo da guastafeste. «Al contrario – osserva -. Proprio perché credo nelle concretezza delle sfide, la Zona franca doganale è l’unica strada praticabile per rilanciare l’economia. Ma dico: a Roma per quale motivo dovrebbero trattarci diversamente dalle altre regioni e abbattere l’Iva? Di sicuro non siamo una terra virtuosa, quando a spesa pubblica che è pari al 100 per cento del Pil (Prodotto interno lordo). Viviamo di sussidi e aiuti che continuano a danneggiare i comparti produttivi della nostra Isola». Confindustria gioca la sua partita: «Stiamo cercando investitori per la Zona franca doganale, il primo traguardo da raggiungere vale dieci milioni di euro».

 

A. C.

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