Matteo Bachetti, il detective che indaga sui misteri dell’universo

Dell’investigatore ha l’attenzione e la meticolosità che si concentrano però su oggetti decisamente fuori dal normale. I suoi strumenti di lavoro non sono le cimici ma i satelliti che gli inviano continuamente informazioni in uno dei laboratori più grandi d’Europa. IRAP (Institut de Recherche en Astrophysique et Planétologie) di Tolosa, Matteo Bachetti è uno degli astrofisici che, tra formule e dati, cerca di risolvere l’enigma dei buchi neri. Fa parte a pieno titolo di quella generazione di cervelli spesso solamente evocata dai governi nostrani quando parlano, facendo poco, di innovazione e di ricerca.

 

Trentuno anni, papà marchigiano e mamma sarda, Matteo è nato a Cagliari e cresciuto a Selargius assieme alla sorella che ha diciotto anni. Maturità scientifica al Pitagora e laurea più dottorato in Fisica all’università di Cagliari, il ricercatore selargino è Oltralpe dal 2010. Prima dell’esperienza francese ha trascorso otto mesi negli Stati Uniti, all’università di Cornell, con il grado di visiting student. Una passione che condivide in famiglia: la moglie, Marta Mancosu, cagliaritana, studia a distanza Fisica Biomedica all’università di Pavia.

La sua è una storia come quella di tanti altri giovani scienziati: «Andare via dalla Sardegna è stata una scelta obbligata – racconta Matteo – perché chiunque faccia il mio lavoro deve fare esperienza all’estero o, comunque, in più laboratori differenti prima di poter essere considerato per un posto da ricercatore a tempo indeterminato. Questo percorso vale sia in Italia sia nel resto del mondo occidentale. Muoversi è essenziale per la crescita scientifica e, da quanto ho vissuto, posso confermarlo».

Attualmente Matteo Bachetti ha un contratto di due anni come Post-Doc nel team NuStar, satellite della Nasa lanciato a Giugno. Approdo conquistato grazie alla bravura e al Master and Back: «Alla fine del dottorato ho iniziato a guardarmi intorno. Un ricercatore di Tolosa, Didier Barret, mi ha contattato perché aveva letto un mio articolo e c’erano delle cose che gli interessava discutere. Ho colto la palla al balzo e gli ho proposto di metter su un progettino per uno stage Master and Back di sei mesi. Da lì è iniziata la mia avventura francese. Dopo lo stage – prosegue il ricercatore sardo – ho avuto alcuni contratti brevi nello stesso laboratorio, tra cui uno come ingegnere informatico per un lavoro che niente ha a che fare con la mia ricerca, in attesa di sapere come fossero andate alcune richieste di fondi che, fortunatamente, sono andate a buon fine. La mia ricerca si incentra sullo studio degli oggetti compatti come buchi neri e stelle di neutroni; sono ciò che resta del nucleo di stelle medio-grandi alla fine della loro vita. I buchi neri sono così densi che neanche la luce riesce a scappare dal loro campo gravitazionale, e quindi sono “neri” nel senso che non possiamo guardarci dentro. Ce ne sono di piccole e di grandissime dimensioni e io mi occupo sia di quelli piccoli, sia di una classe per ora molto rara e detta intermedia».

Esperienza di grande spessore, all’interno di una struttura di eccellenza che colleziona riconoscimenti a livello internazionale; l’ultimo in ordine di tempo riguarda il lavoro svolto dal team su Chem Cham, lo strumento montato sul rover Curiosity che sta facendo la ricognizione sul pianeta Marte. Il gruppo fa anche orari decisamente non umani: «Il gruppo – rivela divertito Matteo – è sincronizzato sulle giornate marziane di 24 ore e 40 minuti».
Sforzi, quelli compiuti all’Irap, che hanno ricadute sulla vita di tutti i giorni: «Gli effetti pratici sono tutti tecnologici; i satelliti, ad esempio, sono un’avanguardia per i sensori che poi vengono impiegati su vasta scala». A Tolosa ci sono anche altri conterranei che lavorano con successo nelle grandi aziende aeronautiche come Airbus e ATR.

Vita internazionale e frenetica, quella di Matteo in Francia ma lui non dimentica l’Isola: «Ho nostalgia dei miei genitori e di mia sorella, degli amici d’infanzia, dei parenti e del clima. Vorrei poter condividere con la famiglia le gioie della vita come quella di una bimba che in questo momento tira calcioni nella pancia della mamma. Quando torno a casa, due o tre volte l’anno, è sempre una festa e non nego che mi piacerebbe molto tornare definitivamente».

Nostalgia forte che, tuttavia, non gli impedisce di ragionare criticamente sui limiti della Sardegna e dell’Italia più in generale: «In Francia la burocrazia è noiosa ma efficiente, la sanità per metà pubblica e per metà privata è completa e non mancano gli aiuti concreti alle famiglie: le donne in gravidanza ricevono 900 euro di sostegno prima del parto, qualche centinaio di euro ogni mese per i primi tre anni di vita del bimbo, il rimborso delle spese mediche e pure dei corsi preparto. Anche sotto il profilo professionale, la media è molto alta mentre da noi spesso ci sono eccellenze nell’ambito della ricerca che sono isolate perché inserite in un quadro che lascia a desiderare».

Ma cambiare si può e si deve, soprattutto sotto il profilo della mentalità: «Secondo me- conclude Matteo Bachetti – è essenziale avere una spinta forte a partire, soprattutto di questi tempi. Chi frequenta l’università, invece, deve puntare a laurearsi in tempi rapidi, magari con un voto un po’ più basso, così da potersi cimentare subito col mondo del lavoro».

Giovanni Runchina

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