Una recente indagine condotta dalle associazioni Libera e Gruppo Abele e pubblicata su Il Sole 24 Ore ha evidenziato che la Sardegna è la regione italiana con il più alto “rischio di corruzione”. L’Isola, sulla base dei dati relativi alla trasparenza nelle Aziende Sanitarie Locali, per questo aspetto sopravanza abbondantemente regioni quali la Calabria e la Campania. Le ASL sarde sono infatti assai indietro nell’applicazione della normativa sulla trasparenza (Legge 190/2012).
Una valutazione che si basa su tre parametri fondamentali: la nomina del responsabile anticorruzione, la pubblicazione on line del piano triennale anticorruzione e la diffusione dei curricula e dei compensi del Direttore generale, del Direttore amministrativo e di quello sanitario. Su una media nazionale del livello di trasparenza delle ASL del 38%, la Sardegna raggiunge a malapena una percentuale del 12%. E’ del tutto evidente che poca trasparenza equivale ad un serio pericolo di corruzione e di inefficienza. Un dato che comunque non stupisce visto che la Sardegna è agli ultimi posti in Europa per quanto riguarda la “qualità istituzionale”. The Quality of goverment (QoG) è un indice che misura il livello di corruzione, il rispetto delle leggi, l’efficacia e l’affidabilità del governo
. Pochi dati che confermano quello che è da tempo risaputo: l’organizzazione sanitaria in Sardegna sembra essere finalizzata, più che a soddisfare i bisogni di salute dei cittadini, ad alimentare un sistema clientelare costoso ed iniquo. Una spesa sanitaria fuori controllo, gravata da un disavanzo che, a dispetto delle ripetute denunce della Corte dei Conti, continua a lievitare. Una spesa sanitaria su cui incide pesantemente la spesa per il personale, specie quella inappropriata e clientelare: consulenze e contratti per il personale interinale. La spesa farmaceutica, poi, continua ad essere tra le più alte tra le regioni italiane. Una organizzazione sanitaria senza governo che è andata configurandosi sempre più come un sistema feudale con le ASL, al servizio del signorotto locale.
I direttori generali delle ASL si comportano come entità autonome slegate da qualsiasi controllo dell’Assessorato della Sanità, ma alle dirette dipendenze del proprio feudatario. Non è un caso che la Sardegna sia una delle poche regioni a non essersi dotata di adeguati strumenti di programmazione sanitaria.
Invalidato il Piano Sanitario regionale approvato nel 2007 dalla Giunta di sinistra, il governo regionale presieduto da Cappellacci si è guardato bene dal dotarsi di un nuovo strumento di programmazione. Una scelta coerente con l’obbiettivo di una gestione della Sanità clientelare e priva di trasparenza: niente Piano sanitario, niente fastidiosi lacci e lacciuoli, mani libere.
D’altronde perché dovrebbe preoccuparsi della trasparenza un governo regionale che in questi anni ha fatto strame dell’etica e della moralità pubblica? Una giunta che, ad iniziare dal Presidente, è stata raggiunta da una raffica di provvedimenti giudiziari: avvisi di garanzia, rinvii a giudizio e persino condanne.
Quello che sconcerta è da un lato il senso di impunità e di sfrontatezza che portano a reiterare comportamenti censurabili sul piano etico e morale (e forse penale), e dall’altro l’affievolirsi della capacità di indignarsi. Quasi che la diffusione e la gravità dei comportamenti illeciti avesse cloroformizzato le coscienze e la capacità critica dei cittadini. Chi pensasse questo – partiti, istituzioni, movimenti – commetterebbe un tragico errore: gli elettori sapranno punire con la necessaria severità, prima ancora della magistratura, tutti quei comportamenti che offendono la sensibilità dei cittadini onesti.
Massimo Dadea