Ecco perché votare (in Sardegna) alle Primarie (nazionali) del Pd

Questo quotidiano – al contrario di tutti gli altri quotidiani isolani – fin dalla sua fondazione ha dichiarato in modo esplicito la sua linea politico-editoriale: siamo un giornale che si oppone all’attuale malgoverno della Sardegna e che vuole contribuire al rinnovamento della classe politica. Abbiamo documentato in modo puntuale (senza ricevere non diciamo querele, ma nemmeno smentite) decine di casi di utilizzo clientelare del denaro pubblico. Da parte del governo regionale di centrodestra e anche da parte di amministrazioni provinciali e comunali di centrosinistra.

Abbiamo contribuito a rendere evidente l’esistenza in Sardegna di una lobby politico-affaristica trasversale che controlla l’informazione, i gangli fondamentali del potere economico e che ha come obiettivo fondamentale quello di perpetuare se stessa, gli interessi propri e quelli dei parenti e degli amici.

E’ in corso da anni un’attività incessante di saccheggio delle risorse pubbliche. Attraverso nomine ai vertici degli enti e delle agenzie regionali decise sulla base del criterio della fedeltà politica e non della competenza, attraverso un utilizzo larghissimo dell’affidamento diretto degli appalti, attraverso il finanziamento di innumerevoli iniziative (convegni, fiere, campagne promozionali) del tutto inutili e sostanzialmente ideate al solo scopo di creare dei contenitori dove far confluire nelle tasche prescelte i soldi di noi tutti.

Un’attività che cresce con l’approssimarsi dell’appuntamento delle Regionali. Esattamente come fanno certi inquilini morosi che, prima dello sfratto, smontano le rubinetterie e le porte, i governanti regionali – terrorizzati dall’idea di poter essere cacciati via – raschiano il fondo del barile. Con piccoli e grandi provvedimenti: dal milione di euro distribuito alle tv private, anche quelle che licenziano i loro dipendenti, per uno spot che spiega ai sardi che in Sardegna si parla il sardo, al cosiddetto Piano paesaggistico dei sardi. Dove i sardi in questione hanno un nome, un cognome e un pezzo di Sardegna da cementificare.

Ma purtroppo non è affatto certo che – nonostante le loro paure – tra tre mesi se ne andranno a casa. Anzi è alto il rischio che il combinato disposto di una legge elettorale pessima e delle divisioni tra le forze di opposizione compia il ‘miracolo’ di una nuova vittoria del centrodestra.

E’ in questo il contesto che si svolgono le primarie del Partito democratico. Un appuntamento nazionale che ha una grande importanza per i futuri sviluppi politici isolani. Perché sarà qua che il nuovo segretario del Pd avrà la prima verifica elettorale, le “nostre” Regionali, appunto. E perché, dopo le primarie, il Pd in Sardegna dovrà uscire allo scoperto: far sentire la propria voce, chiarire chi comanda. Noi, dall’osservatorio di questo sito, non abbiamo ancora finito di stupirci per la carenza di produzione in termini di interventi, commenti, analisi da parte del Pd a fronte della ricchezza di altre organizzazioni molto più piccole dello stesso centrosinistra.

C’è un grande malessere nel popolo democratico. Che le forza propulsiva delle primarie fosse in fase di esaurimento lo si era avvertito anche un anno fa. Nel frattempo c’è stato il “pareggio” alle Politiche, il tradimento nei confronti di Romano Prodi, il governo delle larghe intese. C’è stato – in Sardegna e in altre regioni, compresa l’Emilia – lo scandalo dei fondi ai gruppi che vede indagati innumerevoli consiglieri del Pd, a partire dal candidato governatore. Tutto questo in un clima che rende molto complicato spiegare che sotto il brutto cappello del “peculato” ci sono situazioni diverse tra loro. In alcuni casi vicende vergognose, in altri pure interpretazioni tecnico-giuridiche. Ma vallo a spiegare, appunto.

Il Pd appare un partito paralizzato dall’attesa che i nuovi rapporti di forza si definiscano. E il massiccio e repentino trasferimento dal perdente Bersani al probabile vincitore Renzi della maggior parte del gruppo dirigente isolano (alla faccia della mitica fedeltà e lealtà del carattere sardo), ha consolidato l’impressione che il faro che guida le scelte sia essenzialmente quello del potere. Perché, certo, si può cambiare idea. Ma un cambiamento di idee così massiccio e simultaneo è qualcosa di poco compatibile, anche dal punto di vista statistico, con l’idealità. Non a caso i sondaggi confermano che gli elettori si allontanano: chi verso altre forze politiche, chi dalla politica in quanto tale.

A questo spettacolo assistono decine di migliaia di militanti, di dirigenti locali e di amministratori che verificano quotidianamente, nella difficoltà di interloquire con l’elettorato, di essere i portatori di un brand logoro. Molti di loro, nonostante tutto, continuano a lavorare e a impegnarsi nel partito democratico. Altri hanno trasferito, senza clamori, il loro impegno altrove.

Noi ovviamente non sappiamo, nessuno oggi lo sa, quale sarà il destino di questo Partito democratico. Ma sappiamo che le ragioni della sua fondazione – quelle che portarono quattro milioni di persone a indicare il nome di Romano Prodi – non sono venute meno. Non è venuta meno, cioè, anzi è ancora più urgente, la necessità di una forza politica nazionale che unisca quanti credono nel cambiamento. Sappiamo bene che nel gruppo dirigente esistono uomini validi e coerenti. Che vivono con molto imbarazzo questa situazione. Non manifestano il loro malessere perché legati a un costume antico di riservatezza, non per opportunismo.

Per loro, per la stima che ne abbiamo, ci auguriamo che, nonostante tutto, in molti seguano l’esempio di Romano Prodi, l’uomo che più di tutti avrebbe avuto il diritto di sbattere la porta. Ha detto che andrà a votare. Assumendo – con questo solo gesto – il rischio di contribuire all’elezione nell’assemblea nazionale di qualcuno dei 101 “traditori” (così li definì Bersani) che l’hanno accoltellato all’ingresso del Quirinale.

Ce lo auguriamo anche perché questa volta si vede davvero la possibilità di un risultato. Cioè di un ricambio radicale del gruppo dirigente col pensionamento delle consorterie che hanno continuato a operare come partiti nel partito uccidendo in culla il sogno di una forza dei progressisti italiani. Renzi assicura che terrò sotto controllo i furbetti dell’ultim’ora, i gattopardi del “cambiamo tutto per non cambiare nulla”. Staremo a vedere. Di certo lo shock che la prospettiva di perdere il controllo del partito ha suscitato in personalità come Massimo D’Alema fa intendere che comunque vada nulla sarà come prima.

Ma in Sardegna c’è una ragione in più che dovrebbe far riflettere anche quanti hanno già abbandonato il Pd per seguire altre esperienze politiche. Siamo convinti che se i democratici sardi avessero avviato una politica realmente autonoma (quel famoso Pd “federato” sempre annunciato e mai realizzato), se non si fossero divisi esattamente secondo lo schema nazionale – ieri con Bersani, oggi con Renzi, sempre con qualcuno che sta a Roma – il fronte dell’opposizione isolano oggi non sarebbe così diviso. Ed esisterebbe, almeno in un’alleanza elettorale, il fronte dei progressisti sardi. Quella “cosa” che fu sognata da Emilio Lussu e che molti anni dopo Umberto Cardia ipotizzò per il Partito comunista. Quel “luogo” che nel tempo ha preso tanti nomi ma che, proprio come Atlantide, non ha mai trovato una precisa ubicazione.

Se esistesse, questo fronte o questo partito – comunque lo si voglia chiamare – non potrebbe eludere, nel nome della futura ‘indipendenza’, il problema del governo nazionale. Dovrebbe collocarsi da qualche parte, a meno che irresponsabilmente non si ritenga che non c’è alcuna differenza tra Silvio Berlusconi e i suoi oppositori. A meno che non si voglia scimmiottare un altro modello nazionale, quello del grillismo, disperdendo le intelligenza in una rabbia senza proposizioni.

Intendiamo dire che la sorte del Partito democratico nazionale non è un fatto che può lasciare indifferenti nemmeno gli indipendentisti più radicali. Paradossalmente, queste primarie riguardano anche loro. Proprio perché sono “nazionali”. Servono cioè a individuare l’interlocutore con cui i progressisti sardi – comunque si ricompongano – dovranno interloquire, confrontarsi, eventualmente allearsi nelle elezioni Politiche o Europee.

Conosciamo iscritti al Pd e ai Rossomori, militanti di ProgReS e sostenitori di Sardegna Possibile, ‘cani sciolti’ che cercano un luogo dove fermarsi, ragazzi del master & back e giovani imprenditori. Sappiamo che la Sardegna che vuole cambiare è maggioritaria. Al principale partito dell’opposizione spetta il compito di ricomporla. E’ un operare per sottrazione. Un agire generoso. E’ la capacità di prendere atto della necessità di un cambiamento immediato. Questo deve chiedere chi oggi va votare alle primarie del Pd. Molto probabilmente è l’ultimo appello, l’ultima possibilità. Diamogliela. Anche perché, comunque vadano queste folli elezioni regionali, il mondo (e la Sardegna) non finiranno nel marzo del 2014. Né concluderà la sua attività il gruppo di potere che ha ucciso le speranze della nostra terra.

G.M.B.

 

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