Moirano: “Ecco come metteremo in ordine la Sanità in Sardegna”

Intervista esclusiva di Sardinia Post a Fulvio Moirano, il direttore generale della Asl unica: il manager parla a tutto campo tra conti e programmazione.

Primo mese di lavoro per Fulvio Moirano, il ribattezzato Messi della sanità italiana a cui il presidente Francesco Pigliaru ha affidato la gestione della Asl unica Ats. Percorso in due tappe che sta cominciando con l’incorporamento di otto aziende sanitarie territoriali. “Entro giugno contiamo di concludere la procedura”, dice il manager classe ’52  in questa intervista esclusiva a Sardinia Post. Moirano, che in tre anni ha ripianato in Piemonte le perdite milionarie degli ospedali, un’idea sulla spesa sarda se l’è già fatta. “Non ci sono costi fuori controllo – osserva -: certo, i bilanci li possiamo migliorare cambiando la gestione”. E oltre al completamento della fusione entro sei-otto mesi, il direttore generale dell’Ats si è dato anche una seconda scadenza: far entrare a regime, in un anno e mezzo, i nuovi modelli organizzativi.

Dottor Moirano, le piace la Sardegna?

Mi piace molto, ma comunque la conoscevo già. Sia a Nord che a Sud: da Carloforte a Santa Teresa ho trascorso più di una vacanza.

Un mese fa il suo insediamento: che impressione si è fatto sulla spesa della sanità regionale?

Ho partecipato al tavolo di monitoraggio organizzato dall’assessorato alla Sanità in tutte le sette aree territoriali che saranno incorporate alla Asl 1 di Sassari. Abbiamo analizzato la prima parte dell’anno, cioè sino al terzo trimestre. Vero che la stabilità dei conti si vede solo in fase di preconsuntivo, ma dai numeri finora analizzati posso dire che i target sono abbastanza raggiunti rispetto agli obiettivi inseriti nel piano triennale di rientro. C’è invece un problema sui costi delle nuove cure per l’epatite C. Mi spiego meglio: sull’acquisto di questi medicinali, l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) prevede vari scaglioni di spesa, il cui calcolo è complesso: da un prezzo iniziale di crica 40mila euro si può scendere sino a 5mila. Sono le cosiddette note di credito fissate dall’industria farmaceutica. Insomma, l’analisi va approfondita. Cito anche lo scorporo del Santissima Annunziata di Sassari: è passato all’azienda mista Aou, ma ci sono spese ancora a carico della Asl 1. A breve, con il direttore generale dell’Aou, il dottor D’Urso, definiremo gli ultimi dettagli.

A proposito di Sassari: è stato accolto con una minaccia di sciopero generale annunciata da Cgil, Cisl e Uil proprio sul caso del Santissima Annunziata.

Non la ricordo, probabilmente è stata precedente al mio arrivo. Io sono concentrato sugli adempimenti del futuro incorporamento delle Asl territoriali: in questi mesi dobbiamo gestire decine di procedure burocratiche su Inps, Inail e flussi ministeriali. Roma e le strutture regionali non dovranno più fare riferimento a otto aziende, ma a una sola.

Considerato che la sua nomina è arrivata con un mese e mezzo di ritardo rispetto alla tabella di marcia iniziale, di quanto slittano i tempi della fusione?

Nei primi sei mesi del 2017 l’Ats decollerà. Il mio lavoro, specie in questa fase, è strettamente legato a quello dell’assessorato e della Giunta, cui spetta l’elaborazione delle linee guida che io dovrò applicare. Stando ai tempi della legge istitutiva, tra il 30 aprile e il 30 giugno ci sarà il primo atto aziendale dell’Ats. Stiamo già intensamente elaborando il primo bilancio di previsione unificato. Ieri si è insediato il direttore sanitario, Francesco Enrichens, mentre dal 1° dicembre prende servizio il direttore amministrativo, Stefano Lorusso.

Dal 2007 al 2015, il costo della sanità sarda è passato da 2,670 miliardi a 3,289. Ha già individuato le Asl più sprecone?

Sprecone lo dice lei. Vista la specialità statutaria della Sardegna il calcolo della spesa, totalmente a carico dei contribuenti isolani, è più complicato rispetto a una regione ordinaria, dove invece il budget per la sanità viene assegnato dallo Stato. In base alla popolazione e attraverso un fondo nazionale indistinto di 111 miliardi: alla Lombardia, per esempio, ne vanno circa 17 per via dei 10 milioni di abitanti; il Piemonte ne prende 8 dati a 4,5 milioni di residenti. Secondo questo calcolo, alla Sardegna spetterebbero poco meno di tre miliardi. Inoltre le Regioni a statuto ordinario ricevono dallo Stato alcuni finanziamenti finalizzati: i cosiddetti obiettivi di piano per circa 1,8 miliardi e che si sommano al fondo indistinto. Nel nostro caso (quello sardo) corrispondono a circa a 50 milioni annui. Tuttavia anche le regioni ordinarie intervengono con risorse proprie per coprire prestazioni specifiche o garantire le extra Lea (cioè fuori dai livelli essenziali di assistenza). In Piemonte la somma aggiuntiva è di circa 60 milioni. Questo per dire che la valutazione di una gestione non si può misurare coi numeri secchi, ma bisogna mettere insieme tutti i fattori di finanziamento. In Sardegna, come dicevo, esiste un problema sul consumo e forse anche sull’acquisto dei medicinali: l’Isola registra la spesa procapite più alta d’Italia. Ma non parlerei di sprechi. I margini di manovra per mettere a punto i correttivi ci sono tutti e il governo regionale attuale e le aziende sanitarie della Sardegna hanno già invertito l’andamento raggiungendo importanti obiettivi nel 2016.

Risultano quasi inattuati i risparmi che sarebbero dovuti derivare dalla razionalizzazione della spesa ospedaliera: 4 milioni nel 2016 per un totale di 114 sino al 2018. Questo perché il ddl della Giunta, approvato a luglio 2015, è ancora fermo in Consiglio regionale.

Il riordino è previsto dal decreto ministeriale 70 del 2015: l’assessore Luigi Arru e il direttore generale Giuseppe Sechi lo ritengono giustamente un atto molto importante. La razionalizzazione della rete ospedaliera è fondamentale per dare coerenza al sistema sanitario. Parallelamente si dovranno sviluppare le politiche distrettuali e territoriali, così come si attendono i nuovi contratti nazionali per i medici di medicina generale (Mmg ) e per i pediatri di libera scelta (Pls) . Non secondaria è la prevenzione: non solo la veterinaria che ha ovviamente grande peso in Sardegna visto il patrimonio zootecnico e la filiera alimentare conseguente, ma anche quella ambientale, alimentare, infettiva e la prevenzione nei luoghi di lavoro..

Il primo vantaggio della Asl unica?

La messa in coerenza organizzativa, operativa e logistica delle Asl. È anche la fase più difficile, ma solo un quadro programmatico di sistema, con l’omogenizzazione delle strutture, permette di razionalizzare la spesa e quindi efficientare la sanità stessa migliorandone la qualità. Oggi ci sono attività sovrapposte, magazzini e laboratori hanno differenti metodi di funzionamento. Anche le procedure selettive e i sistemi premianti nelle parti variabili degli stipendi risultano diverse.

Quali sono i tempi per la messa in coerenza del sistema?

Dai sei agli otto mesi. Si tratterà di prendere a modello, in ogni settore, le migliori performance, gli esempi virtuosi. Che in Sardegna esistono e anzi sono numerosi. Mi riferisco per esempio ai bassi tassi di ospedalizzazione in alcune realtà dove funziona bene la medicina territoriale. Per contro, bisognerà ridurre i cosiddetti ricoveri inappropriati. Ma rappresentano un costo indiretto pure la rilevante carenza, in alcune aree in particolare, di posti letto per post acuzie, perché ricadono su quelli per acuzie. La nuova rete ospedaliera servirà anche a questo.

I risparmi si produrranno subito?

Negli anni credo di aver accumulato sufficiente esperienza per cogliere intanto che è necessario accelerare i ritmi del cambiamento.

Sotto la Asl unica ci sono le aree socio-sanitarie locali (Assl): dovrebbero corrispondere alle otto ex province e ciascuna sarà guidata da un manager che dovrà nominare lei.

Io penso che dotare le Assl di ampie deleghe, pur dietro il quadro di unità generale, sia la strada giusta. Troveremo il corretto bilanciamento tra la spinta centralista che porta con sé l’Ats e il decentramento rappresentato appunto dalle aree socio-sanitarie. Tutto starà nel non disperdere l’unitarietà delle strutture organizzative e amministrative dalla gestione centrale. Che è una sovrastruttura necessaria, ma la sanità esiste per assicurare e migliorare le condizioni di salute dei cittadini e quindi il decentramento dei servizi sanitari è implicito.

Quali obiettivi si è dato nel breve periodo?

Gli obiettivi me li ha dati la Regione. E sono davvero un mucchio di stringenti adempimenti che hanno un tempo di realizzazione serrato. Superata questa fase della messa in coerenza, necessaria e propedeutica, nell’immediato si dovranno sviluppare la medicina territoriale e ridurre le liste d’attesa. Subito andrà costruita anche l’integrazione tra sanità e servizi sociali col coinvolgimento dei Comuni. Questo perché i cittadini nei loro bisogni sanitari, e mi riferisco ai singoli, non sono scindibili dai bisogni di assistenza.

Nel medio periodo quali traguardi?

I nuovi modelli organizzati dovranno essere a regime entro diciotto mesi. Anche una lunga marcia comincia con un piccolo passo. I risultati, poi, arrivano quando si costruisce pure il coinvolgimento profondo di tutti gli operatori e non solo delle strutture amministrative sulle quali, per ovvie ragioni organizzative e formali, siamo adesso concentrati. Insieme a medici, infermieri, tecnici, oss e sindacati studieremo il modello del nuovo contratto unitario, sia per il comparto che per la dirigenza, compresa la medicina convenzionata.

Attualmente in Sardegna gli stipendi non sono omogenei: a parità di incarico e mansione, alcune Asl pagano di più rispetto ad altre. L’Ats farà la felicità di quanti oggi guadagnano meno?

Non ho ancora avuto modo di controllare le parti variabili e quelle tabellari degli stipendi nelle singole aziende. Ma al pari dei sindacati, che sono molto preparati, conosco abbastanza bene le regole dei contratti. Per questo lavoreremo tutti insieme, ripeto, e con prudenza: dire che procederemo coi piedi di piombo, è poco.

Lo sa che a quasi tutti i partiti del centrosinistra lei non era gradito perché non sardo?

Non mi risulta. So invece che c’è stata parecchia insistenza perché arrivassi in Sardegna. Eccetto che da parte di mia moglie. Sono trascorsi pochissimi giorni tra la conferma della mia disponibilità a ricoprire l’incarico e la nomina.

Comunque è in buona compagnia: i partiti hanno contestato anche le nomine del direttore sanitario e di quello amministrativo. Li ha scelti lei, ma nemmeno i due sono sardi.

La legge prevede che la scelta spetti al Dg. E io ho selezionato le migliori competenze in Italia: Enrichens, il direttore sanitario, è uno dei massimi esperti di rete ospedaliera, medicina territoriale ed emergenze/urgenze. Ho avuto modo di lavorarci insieme quando dirigevo l’Agenzia nazionale della sanità (Agenas). Ha appena due anni in meno di me e un’esperienza consolidata. Lorusso è molto più giovane di noi (è del ’75), ma enormemente capace: conosce come pochi i bilanci, sia i contabili-finanziari che quelli economico-patrimoniali delle Asl.

Il presidente Pigliaru l’ha sempre presentata come il Messi della sanità nazionale.

Mi ritengo più un mediano o un centrocampista che fa qualche gol. Io preferisco il lavoro nella retrobottega. Mi definisco un Romeo Benetti. Un Tardelli, un Marchisio. Ma sono milanista non juventino.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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