La legge elettorale finisce nel cassetto: se ne riparlerà solo tra qualche anno

Il politologo francese Maurice Duverger  diceva: “È il mondo politico che deve adeguarsi al sistema elettorale, non viceversa”. Un principio che non sempre risulta facile da seguire e il Consiglio regionale non fa eccezione, dal momento che l’argomento legge elettorale esplode in due momenti precisi di ogni legislatura: all’inizio e alla fine. Nel primo caso a pesare sono i problemi dei conteggi, i ritardi nella proclamazione degli eletti (alle Regionali del 2014 e del 2019 c’è voluto circa un mese) e lo spettro dei ricorsi che fa traballare le poltrone. Discorso diverso quando la legislatura sta per finire perché in questo caso pesa la tentazione di cambiare la legge elettorale sulla base del contesto in cui si andrà votare.

È un parere diffuso che il testo in vigore abbia numerosi difetti sui quali è necessario intervenire. Lo stesso presidente della Regione, Christian Solinas, durante le dichiarazioni programmatiche pronunciate davanti all’assemblea, si era espresso a favore di “una nuova legge statutaria elettorale che assicuri la rappresentatività di tutti i territori e insieme governabilità e stabilità”. Ma per ora, nell’agenda del Consiglio regionale questo tema non è presente, visto che la tabella di marcia è occupata da Piano Casa, Finanziaria, sanità e organizzazione della Regione. Il rischio, così come è accaduto la scorsa legislatura, è che si cerchi di mettere mano alla legge a pochi mesi dalle elezioni, esponendosi ad accuse di golpe o di voler scrivere le regole del gioco in base ai partecipanti.

Nella riscrittura delle norme i punti che più dividono riguardano il voto disgiunto, l’attribuzione dei seggi nei territori in modo da garantire un’equa rappresentatività a tutti i collegi elettorali e l’elezione dei candidati presidente. Proprio partendo da quest’ultimo nodo, la legge attualmente in vigore prevede che l’assegnazione di due soli scranni: il vincitore delle urne e il secondo più votato. Eppure nel 2014 Michela Murgia, in corsa con Sardegna Possibile, aveva raccolto oltre 76mila preferenze superando il 10 per cento. Un consenso importante, che equivale alla soglia di sbarramento richiesta a una coalizione per entrare nella ripartizione dei seggi. Ma sui candidati presidente la regola è diversa e la leader indipendentista era rimasta fuori dal Consiglio.

Stesso discorso alle Regionali di febbraio 2018: Francesco Desogus, candidato coi Cinque Stelle, non è entrato in Consiglio, malgrado il Movimento abbia superato la soglia del 5 per cento eleggendo infatti sei onorevoli. Dietro questa regola c’è comunque una logica, almeno nelle intenzioni del legislatore: l’elezione di massimo due candidati presidente è stata prevista per evitare che la corsa per il posto da governatore diventi in automatico la garanzia di un seggio. Tuttavia da più parti viene discussa la necessità di rivedere la norma per evitare storture simili al caso Murgia. Questo aspetto specifico  era stato normato in una proposta di legge alla fine della scorsa legislatura dall’allora presidente dell’assemblea, Gianfranco Ganau: prevedeva un seggio per tutti i candidati presidente che raggiungevano o superavano il 10 per cento e, parallelamente, la lista o la coalizione di riferimento non fossero sotto il 5. Il testo, però, non arrivò al traguardo.

Su questo punto hanno presentato una proposta di legge statutaria elettorale proprio i grillini che sulla mancata approvazione della legge Ganau gridarono al golpe. Con la nuova iniziativa legislativa gli M5s chiedono “il diritto di tribuna per i candidati presidente che fanno parte di liste o coalizioni che superano le soglie di sbarramento previste”, spiega la capogruppo, Desirè Manca. L’esponente dei Cinque Stelle è convinta che “sia urgente mettere mano alla legge elettorale, ma purtroppo i lavori vanno a rilento e non solo su questo tema”. Eppure Pierluigi Saiu, presidente leghista della commissione Autonomia del Consiglio regionale, è ottimista sul fatto che “la legge verrà discussa i tempi rapidi e con le modalità necessarie”. E sottolinea: “È fondamentale coinvolgere nel dibattito anche altri strati della società che possono offrire un contributo, perché la legge elettorale è lo strumento sul quale si fonda la democrazia”. Saiu non ha dubbi su quali siano le parti da modificare nella legge attuale cominciando “dal travaso di seggi da una circoscrizione all’altra, ciò che toglie stabilità alla rappresentanza di un territorio”. E poi il voto disgiunto perché “non si può dare la preferenza al consigliere di uno schieramento e insieme al candidato presidente che si oppone a quel progetto politico”.

Il capogruppo del Psd’Az, Franco Mula, assicura che la legge elettorale sia una delle “priorità di questa maggioranza, anche perché ci sono delle cose che dobbiamo abolire, come ad esempio il voto disgiunto. Al candidato presidente che supera la soglie di sbarramento al 10 per cento e le sue liste vanno oltre il 5, come previsto attualmente, bisogna dare la possibilità di far parte dell’assemblea”. Ma pure il sardista solleva la questione dei territori che ottengono meno seggi rispetto a quelli previsti dalla legge: “È l’imponderabile della norma, perfettamente legittimo sotto il profilo giuridico ma inaccettabile dal punto di vista politico. Il collegio di Nuoro, ad esempio, ha perso due consiglieri; l’Ogliastra ne avrebbe dovuto avere due, invece si ritrova con un solo rappresentante”.

Ci sono anche i casi del Sulcis e del Medio Campidano che hanno un numero consiglieri inferiore rispetto a quello fissato dalla legge, tanto che su questo difetto di rappresentanza si fonda il ricorso presentato da Antonio Gaia, Pierfranco Zanchetta e Marzia Cillocu, tutti candidati non eletti alle ultime Regionali. Sempre sul tema dell’attribuzione dei seggi, negli armadi della commissione Autonomia del Consiglio è ferma la proposta di legge scritta dall’esponente del Pd, Roberto Deriu. Il testo modifica l’impianto della norma attuale che “consegna all’elettore un risultato incomprensibile, oltre a essere molto iniqua”. La proposta di Deriu prevede intanto l’elezione dei più votati a livello regionale e provinciale (oggi invece l’attribuzione del seggio è molto più complessa e non premia solo chi ha ottenuto più preferenze ma tiene anche conto dei voti complessivi raccolti da un determinato partito nei singoli collegi elettorali). Nel testo dell’esponente dem è prevista inoltre la possibilità di esprimere la preferenza per qualsiasi candidato a prescindere dalla circoscrizione di appartenenza. “L’assemblea sarda non è un Consiglio federale – spiega Deriu – e non può essere legata soltanto al concetto di rappresentanza dei territori. Non ha senso rappresentare le diverse Sardegne pescando gli eletti in base alla territorialità”.

Al lavoro sulla riscruttura delle regole per il voto ci sono anche gli indipendentisti di Liberu che hanno avviato la raccolta di firme (ne servono diecimila) per la proposta di legge di iniziativa popolare. Il testo abolisce le coalizioni e ogni lista compete singolarmente per cercare di raggiungere il 34 per cento e ottenere il premio di maggioranza che consiste in 32 seggi, compreso quello del presidente. Se nessuna lista raggiunge questa soglia di consenso, il presidente della Regione viene indicato dal Consiglio tra i candidati a governatore.

Capitolo a parte merita la doppia preferenza di genere, unica modifica fatta all’attuale legge elettorale dopo la bocciatura a scrutinio segreto del 2013. In vigore è entrato anche l’obbligo di avere nelle liste lo stesso numero di uomini e donne. Tuttavia serve ancora molta informazione per raccogliere i frutti del doppio voto. Nell’applicazione pratica si è infatti rivelato ‘difettoso’: sono stati tantissimi i casi in cui i due voti sono andati a candidati appartenenti a liste diverse o dello stesso genere. Non solo: è innegabile che l’introduzione della doppia preferenza non si è rivelata determinante nel ribaltare gli equilibri in Consiglio regionale, visto che le donne elette sono state otto su sessanta. La prima barriera che limita l’ingresso delle donne in politica è culturale, più che normativa.

Matteo Sau

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