Andrea Murgia: “Cambiare la Sardegna. E rendere ‘potabile’ il Pd”

Una scelta arrivata quasi allo scadere, ma non certo improvvisata. La decisione di Andrea Murgia di correre da indipendente alle primarie del 29 settembre raccoglie l’invito di una rete di “indipendenti” del centrosinistra, persone che faticavano a riconoscersi nel duello (molto interno al Pd) per la leadership della coalizione. 

Quarantuno anni, di Seulo, economista assunto alla Commissione europea, Murgia ha sempre seguito da vicino le vicende della Sardegna, sia per lavoro visto che si occupa proprio dei finanziamenti alle regioni, sia per passione politica. Ha scelto di impegnarsi in questo progetto, sfidando candidati di peso quali Francesca Barracciu e Gianfranco Ganau, e non intende fare un semplice atto di rappresentanza. «Io – spiega – non riesco a vedere una grande differenza tra i miei competitors alle primarie. Vorrei fare una campagna elettorale che riporti entusiasmo tra i militanti. Non stiamo facendo la rivoluzione, ma vogliamo declinare la normalità».
L’hanno definita il candidato civatiano.
«Sinceramente rifiuto ogni etichetta nazionale. Credo che Civati sia un’ottima persona, ma mi riconosco solo in un progetto sardo. Mi sono auto sospeso dal Pd nel momento in cui il partito ha votato contro l’elezione di Prodi al Quirinale, i famosi 101 voti in meno e tutto quello che ne è venuto dopo, compreso il governo Letta insieme al Pdl».
Sperava che Soru sostenesse lei anziché al Barracciu?
«Io non ho mai avuto alcuna interlocuzione con la cosiddetta area soriana. Ho parlato a lungo con Renato Soru, che considero ancora il depositario di quel progetto di rinnovamento nella politica sarda cui ho partecipato anche io (nel 2009 era nel listino, ndr). Considero l’appoggio dato a Francesca Barracciu un semplice accordo tra correnti. E francamente non m’interessa».
Che candidato sosterrà, se si dovesse arrivare al ballottaggio e lei non sarà della partita?
«Non m’interessa: o faccio il presidente della Regione o torno a Bruxelles. Qualcuno vuole liquidare la mia scelta come un desiderio di visibilità, magari in cambio di una poltrona in Consiglio regionale. Posso rassicurare tutti che non sarà così».
Qual è la sua valutazione sul Pd?
«È un partito non potabile. Magari se finisse questa fase di sdoganamento politico di Berlusconi, si potrà ricominciare a discutere, ma al momento non è possibile. Non mi sento rappresentato da questo Governo. A livello regionale sono stati mesi spesi tra giochi di potere di una generazione decadente».
Lei si occupa di fondi europei, finora un tasto dolente della giunta Cappellacci.
«Le risorse sono state spese poco e male: 340 milioni sono stati addirittura restituiti allo Stato per paura di perderli. È il sistema regionale che non riesce a spendere. Quando i soldi vengono assegnati agli assessorati, rimangono fermi per anni. Ci sono regioni d’Italia che spendono molto bene, come l’Umbria e le Marche. Per il Sud vengono destinati più fondi, ma c’è scarsa capacità di spesa».
Se diventasse governatore da dove comincerebbe?
«Chiederei al Consiglio regionale di ridurre le indennità, equiparandole a quelle dirigenziali. Chiederei di far assumere i portaborse direttamente dalla Regione anziché considerare queste spese forfettarie. Abolirei le indennità di carica e i gettoni di presenza. In altri Paesi europei questa è la norma. Vorrei anche favorire un rinnovamento completo della classe dirigente, fissando il limite dei dieci anni di mandato. Gli assessori devono essere persone scelte per competenza e non secondo le correnti interne ai partiti, di certo in assoluta parità di genere.
L’emergenza resta però il lavoro.
«Quello sarebbe l’obiettivo principale della mia Giunta. Dalla crisi si esce soltanto creando nuova occupazione e utilizzando i fondi europei. Ma è anche necessario il costo del lavoro e rendere la Sardegna un luogo competitivo dove le imprese possano insediarsi e operare».
Questo suo impegno politico andrà oltre le primarie, quale che sia il risultato?
«Il mio impegno è diventare presidente della Regione. Non c’è alcun punto di caduta, se non l’amicizia e la stima delle persone che mi hanno proposto la candidatura. L’ho detto e lo ribadisco: non ci sono salvagenti».

Alberto Urgu

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