L’ANALISI. La legge elettorale, Michela Murgia, e il muro dei partiti contro il nuovo

Mancano otto mesi alle Regionali sarde, ma i prossimi giorni e le prossime settimane saranno già decisivi. Lo dice l’agenda politica che prevede oggi l’assemblea nazionale di ProgReS (che potrebbe formalizzare la proposta alla scrittrice Michela Murgia di candidarsi come governatore). Martedì, nell’aula del Consiglio regionale, riprenderà il confronto sulla nuova legge elettorale. Intanto all’interno del centrosinistra sarà avviata la definizione delle regole per le Primarie. Tre appuntamenti diversi, ma legati tra loro da un filo nemmeno tanto sottile. Per una battaglia che è sempre più tra i difensori dell’attuale assetto politico e quanti vorrebbero modificarlo in modo radicale e dirompente.

Il “muro” contro le nuove aggregazioni politiche

Esiste un’alleanza trasversale per ostacolare l’ingresso in politica di forze nuove? Popolo delle libertà e Partito democratico, con i loro alleati minori, stanno preparando i sacchetti di sabbia da sistemare all’ingresso del consiglio regionale in modo da rendere molto complicato l’ingresso di partiti che non vi sono mai entrati? Il sospetto si è fatto strada nel mondo dei movimenti quando, nel dibattito sulla nuova legge elettorale, è emersa l’ipotesi di stabilire un maxi-sbarramento per le coalizioni, accompagnato dall’eliminazione di qualunque sbarramento per le liste che si presentano all’interno delle stesse coalizioni.

La questione è meno complicata di quanto può apparire a prima vista. Se si stabilisce un tetto, per esempio del 10 per cento dei voti (è questa l’ultima proposta avanzata dal Pdl) al di sotto del quale una coalizione non ha diritto di mettere suoi rappresentanti in Consiglio, si ottiene il risultato di dissuadere la nascita di nuove coalizioni. Non solo. Se a una norma simile se ne associa una che non stabilisce alcun quorum per i partiti che si presentano all’interno delle coalizioni, si incentivano i partiti minori a stare dentro quelle esistenti (che sicuramente supereranno il 10 per cento) e a non rischiare di entrare a far parte di nuove aggregazioni.

Se poi si applicano le norme della ipotizzata nuova legge elettorale ai risultati delle Politiche si ha il risultato di cristallizzare il quadro delleforze attorno alla coalizione di centrosinistra, a quella di centrodestra e al Movimento 5 Stelle. Gli spazi per altre forze politiche diventano strettissimi. Anche perché l’ipotesi in discussione prevede un tetto piuttosto alto (il 5 per cento) per i partiti che si presentano da soli.

Ma quali possibili nuove coalizioni sono oggi sul tavolo della politica sarda? Una sola. Che non è stata ancora ufficializzata, ma che in qualche modo è ‘scaturita’ da quanto è accaduto in questi ultimi anni con la nascita di Comitati di cittadini che, in diversi territori, conducono battaglie ambientaliste e che in molti casi lavorano fianco a fianco con organizzazioni indipendentiste. Il caso più noto è quello del comitato che si oppone al “Progetto Eleonora” della Saras. E che ha – sarà un caso? – proprio la scrittrice Michela Murgia tra i suoi principali esponenti e in ProgreS l’organizzazione politica più attenta.

Il “muro” contro l’ingresso delle donne in consiglio regionale

C’è poi un altro “muro” in costruzione. Un muro che in parte, ma solo in parte, coincide con quello principale che dovrebbe far da argine al nuovo. E’ un muro “di genere” e riguarda il timore di un’irruzione di donne nel Consiglio regionale con la conseguente uscita di buona parte degli attuali consiglieri di sesso maschile.

Anche in questo caso il problema è semplice, aritmetico. La legge costituzionale che ha ridotto il numero dei consiglieri dagli attuali 80 a 60 determina l’obbligo di formulare una nuova legge elettorale. Che deve tener conto della necessità (affermata non solo dall’Europa, ma anche da decisioni dei Tribunali amministrativi) di garantire un’adeguata presenza femminile (per “adeguata”, dicono le decisioni adottate fino a ora, s’intende non meno del 40 per cento).

Attualmente in Consiglio regionale ci sono 72 uomini e 8 donne. Nel prossimo, applicando assieme la riduzione da 80 a 60 e il riequilibrio di genere, ci sarebbe posto per 36 consiglieri di sesso maschile, esattamente la metà di quanti ce ne sono oggi. Si comprende facilmente perché la questione della “doppia preferenza di genere” (che dovrebbe essere lo strumento tecnico attraverso cui ottenere questa nuova proporzione) sia tanto osteggiata. Silenziosamente, perché nessuno vuole esporsi. Ma con tutti gli strumenti consentiti. Compreso il voto segreto.

Non è un caso che proprio ieri – a conclusione di un convegno sul tema che si è tenuto alla Comunità La Collina di Serdiana – la consigliera regionale di parità Laura Moro abbia diffuso (“A nome delle associazioni, delle organizzazioni, dei movimenti, dei comitati e di tutte le donne presenti all’assemblea”) una nota che suona come un esplicito altolà ai tentativi di bloccare il riequilibrio di genere nel Consiglio.

Una nota che “manifesta la contrarietà per l’eventualità che le modifiche alla Legge elettorale per l’elezione del Presidente della Regione e del Consiglio regionale della Sardegna, fra cui, in particolare, l’introduzione di norme per un’effettiva democrazia paritaria, possano avvenire a voto segreto”. E aggiunge: “Il solo obiettivo di questa, si spera, infondata, scelta dei consiglieri regionali in carica è, infatti, quello di conservare, mascherato dietro l’irresponsabilità del voto segreto, un sistema elettorale nel quale, in palese violazione dei principi sanciti nella Costituzione e nello Statuto speciale della Sardegna, non viene promossa l’elezione in misura uguale di donne e di uomini”. La nota della consigliera di parità si conclude con due auspici: che i partiti presenti in Consiglio non facciano una cosa simile e che la doppia preferenza di genere (cioè la facoltà per l’elettore di esprimere due voti, a condizione che il secondo sia per una persona di sesso diverso da quella indicata nel primo voto) venga introdotta.

Nelle Primarie del Pd le donne ora partono favorite

L’altro punto dell’agenda sono le Primarie del centrosinistra (che si terrano il prossimo 29 settembre, ma i candidati dovranno emergere entro luglio). Che, in qualche misura, sono legate ai primi due punti. Intanto perché la nascita di una nuova aggregazione potrebbe ‘tentare’ singoli militanti e anche qualche forza politica minore, ma anche per gli effetti che la norme sul riequilibrio di genere possono determinare nella scelta dei candidati. Favorendo, per la prima volta, le candidate. A maggior ragioni di fronte all’eventualità della candidatura alla guida di una nuova aggregazione politica di una donna. Un quadro che converge verso un nome, quello di Francesca Barracciu, attorno al quale si starebbe ricompattando buona parte del Partito democratico.

N.B.

 

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