Diana, il moralizzatore inquisito

Autore del codice di regolamentazione delle spese, si trova al centro dell’indagine per peculato con accuse imbarazzanti. Con assegni firmati da lui, ma usati da altri

Al telefono non ha risposto per 48 ore, poi ha diffuso una nota di smentita per dire che dimostrerà la propria correttezza. E assicurare di non essere mai entrato, nel mese di agosto, in una certa gioielleria per acquistare degli orologi di marca Rolex. Una precisazione singolare – perché escludere un solo mese dell’anno? Perché negare solo l’acquisto di una specifica marca di orologi? – che rivela l’imbarazzo e l’amarezza di Mario Diana, ex capogruppo del Pdl e oggi leader di “Sardegna è già domani“.

Un imbarazzo aggravato da due circostanze: la prima è che proprio Diana è stato l’autore, nel 2010, di una sorta di “codice” interno al Popolo della libertà che stabiliva nuove regole per l’utilizzo dei fondi destinati al gruppo ed evitare forme di utilizzo improprio. Un moralizzatore, insomma. La seconda è che gli acquisti impropri che la procura di Cagliari gli attribuisce sono stati fatti dopo l’approvazione di quel codice e in questa legislatura: tra il 2010 e il 2012. Cioè quando l’inchiesta della magistratura era già partita.

LE INDAGINI SULLA LEGISLATURA IN CORSO. Non è una differenza da poco. Perché se i consiglieri regionali della precedente legislatura hanno tra i possibili argomenti a difesa quello della buona fede – non sapevano dell’obbligo di rendicontazione, agivano all’interno di prassi consolidate e ritenute lecite -, quelli della legislatura cominciata nel 2009 sapevano benissimo che il tempo delle spese non rendicontate era finito. Non è un caso, infatti, che nell’indagine sulle “spese pazze'” degli anni più recenti sia emerso con forza il sospetto di fatturazioni false, gonfiate, e di prestazioni fittizie. In pratica: dalla rendicontazione inesistente a quella costruita ad arte.

Tornando a Mario Diana, gli vengono contestate spese per 271mila euro. Una delle cifre più alte. Circostanza che in parte può essere spiegata col suo ruolo di capigruppo: alcune spese generali sono passate per le sue mani. E va anche detto che già ora una parte di quella somma risulta destinata per attività che hanno a che fare con la politica e i suoi costi: pagamento di abbonamenti internet, di convegni organizzati dal gruppo o ai singoli consiglieri.

Difficile far rientrare in questa categoria i libri antichi, le penne Montblanc e gli orologi di marca. Nella sua smentita, Diana nemmeno menziona le penne e i libri, ma parla solo degli orologi. E del mese di agosto. Con evidente riferimento a un articolo apparso nei giorni scorsi su l’Unione Sarda che riportava proprio questi particolari. E oggi – quindi dopo la diffusione della smentita di Diana – il quotidiano di Cagliari torna sull’argomento precisando che, in effetti, gli orologi non furono acquistati ad agosto, ma a novembre del 2012. E riferisce uno degli argomenti che Diana avrebbe addotto a sua difesa: gli acquisti furono fatti “da altri” con assegni che recavano la sua firma. A sua insaputa, par di capire.

La tesi difensiva del “a mia insaputa”, introdotta dall’ex ministro Claudio Scajola per la famosa casa con vista sul Colosseo, fino a ora non ha portato molta fortuna ai suoi sostenitori. E rivela ancora di più l’imbarazzo dell’ex capogruppo del Pdl. Il suo avvocato. Mariano Delogu, ex sindaco di Cagliari ed ex senatore del centrodestra, per il momento invita tutti alla calma, alla prudenza e si limita a dire d’essere in attesa del momento in cui potrà esaminare nella loro completezza le carte dell’accusa.

UN UOMO PRATICO. Famoso per la sua concretezza, Diana negli ultimi mesi è stato il protagonista del dibattito su alcuni provvedimenti che hanno fatto discutere. E’ stato proprio lui a chiedere, per due volte, il voto segreto sulla doppia preferenza di genere, dando un contributo determinante al suo affossamento e quindi alla rivolta delle organizzazioni delle donne. Ed è stato ancora lui a proporre, nell’iter di approvazione della legge elettorale, il cosiddetto “emendamento anti-Cappellacci” (il governatore è un suo acerrimo nemico politico), quello che vietava la ricandidatura a un governatore dimissionario. Norma poi cancellata perché anticostituzionale.

Diana è alla sua terza legislatura regionale. L’esordio nel 2003, quando già era presidente della Provincia oristanese, dove era stato eletto nel 2000, al primo turno, con 52mila preferenze. Risale ad allora il suo ingresso in Alleanza nazionale. La sua prima tessera la prese con l’Msi, nel ’64. Negli ambienti politici, però, si affibbia a Diana un passato nella Dc, impropriamente: lui con lo Scudo Crociato si candidò solo da indipendente, negli anni Ottanta, come consigliere comunale. Ma è sempre stato a destra. Tra le sue passioni, il pallone: dal 2000 al 2007, oltre a dividersi tra Regione e Provincia, era il presidente della Tharros. Nella Figc (Federazione gioco calcio, settore Giovanili) ha fatto il dirigente.

SCENARI IMPREVEDIBILI. Di certo l’inchiesta bis apre scenari inimmaginabili in vista delle Regionali 2014. Perché la ricandidatura degli uscenti, e quindi anche di Diana, era nell’ordine delle cose. L’accusa di peculato gli è arrivata addosso in un momento di particolare visibilità politica, poco dopo che aveva avanzato la sua candidatura alle mitiche “primarie del centrodestra”, quelle che non si faranno. In simili circostanze è quasi una consuetudine parlare di “giustizia a orologeria”. Ma, evidentemente, la vicenda dei Rolex ha suggerito di mettere da parte la metafora.

Alessandra Carta

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