Caso Cabras-Arru, la domanda che resta senza risposta

Per la prima volta uno dei nodi del potere politico ed economico isolano – la relazione tra Fondazione del Banco di Sardegna e Banco di Sardegna –  è entrato pienamente nel dibattito pubblico. Le carta sono state messe sul tavolo. Ma ancora non tutte perché i protagonisti del caso – l’ex senatore del Pd Antonello Cabras e il presidente della Fondazione Banco di Sardegna Antonello Arru – non hanno ancora detto la loro.

L’ultimo scambio di battute – avvenuto tra giovedì e venerdì – è, ancora una volta, tutto interno all’area del centrosinistra e vede da una parte il segretario regionale del Partito democratico, il neosenatore Silvio Lai, e dall’altra l’economista Francesco Pigliaru che fu tra i primi a criticare le annunciate nomine. Riguarda l’aspetto più complesso della vicenda: il ruolo del Banco di Sardegna nell’Isola e le ragioni per cui la Fondazione detiene il 49 per cento dell’Istituto (l’altro 51 per cento è della Banca popolare dell’Emilia Romagna) e quindi congela una parte così rilevante del suo capitale incassando utili molto più bassi di quanti potrebbe invece incassarne differenziando gli investimenti. Un ‘congelamento’ che nell’ottobre scorso è stata ulteriormente rafforzato attraverso la sottoscrizione, tra Fondazione e Bper, di un ‘patto parasociale’ che ha limitato la possibilità della Fondazione di muovere la sua quota.

La ragione e il senso di questo ‘patto parasociale’ sono uno dei passaggi più delicati della lettera – pubblicata il 9 febbraio scorso su La Nuova Sardegna – con la quale Arturo Parisi (che poi è tornato dettagliatamente sulla questione in un’intervista a Sardinia Post) e Mario Segni hanno aperto il dibattito e sollevato il caso. E sono anche l’aspetto che, fino a ora, è rimasto in secondo piano. La polemica, infatti, si è concentrata sull’aspetto più strettamente politico, e cioè sulla inopportunità del passaggio diretto di un ex senatore del Partito democratico alla guida della Fondazione. Una decisione così favorevole alla cosiddetta ‘antipolitica’ da essere stata addirittura definita “masochistica” da un autorevole esponente del Pd come l’ex deputato Guido Melis.

Ma ecco gli ultimi sviluppi del dibattito. Il segretario del Pd sardo, in una serie di dichiarazioni apparse giovedì su La Nuova Sardegna, non è  entrato nel merito di questo patto, ma ha sfiorato la questione illustrando per la prima volta in modo chiaro le ragioni di chi difende la massiccia partecipazione della Fondazione al capitale del Banco. L’ha fatto anche a partire dalla bocciatura della nomina di Cabras alla Fondazione da parte del responsabile economico nazionale del Pd Stefano Fassina. In una logica, dunque, di rivendicazione della specificità del Pd sardo e più in generale della Sardegna.

Ha detto infatti Silvio Lai: “I dati dell’Abi ci dicono che nell’isola il livello di sofferenza è circa il doppio rispetto al territorio dove opera Bper, perché le imprese e le famiglie sarde fanno il doppio della fatica a restituire i soldi. Le conclusioni sono abbastanza ovvie: per la banca sarebbe conveniente dare prestiti dove sono più sicuri, cioè non in Sardegna”. In sostanza “il Banco, da buona banca, dovrebbe impiegare non il 15% ma il 50% della sua raccolta fuori dall’isola per garantirsi una redditività adeguata e chiudere molte filiali e agenzie”. Se non lo ha fatto fino a ora, secondo Silvio Lai, è proprio perché la Fondazione, col suo 49 per cento di capitale, ha fatto da argine, ha tenuto il Banco vincolato al territorio. Altrimenti la Banca popolare dell’Emilia Romagna, ragionando con una pura logica di mercato, avrebbe già da tempo smantellato in parte la struttura ramificata delle filiali che oggi copre anche i più piccoli paesi dell’Isola.

Una spiegazione che non ha convinto Francesco Pigliaru. Il quale è subito tornato sull’argomento con due post consecutivi sul suo blog. E ha riassunto così gli argomenti del segretario regionale democratico: “Dunque, Silvio Lai dice le seguenti cose. Bene che Arru diventi presidente del Banco, se no chissà cosa farebbe la Bper. Arru, continua Lai, farà sì che Bper continui a prestare i soldi ai sardi anche se dal punto di vista economico non è per niente conveniente (speriamo che la vigilanza della Banca d’Italia non sia in ascolto). Poi dice: il territorio saprà scegliere il meglio per sostituire Arru alla Fondazione (leggi Cabras, sospetto). Certo, riconosce Lai: tutto questo ha un costo probabilmente alto, perché tenere 352 milioni immobilizzati in azioni (del Banco) che stanno rendendo così poco non è esattamente il massimo, non è proprio ciò che farebbe Lai se i soldi fossero i suoi (immagino). Però, dice Lai, questa scelta costosa ha anche un sacco di benefici, quelli appunto di avere una banca molto attenta al territorio”.

Il fatto è che, ha proseguito Pigliaru, nel ragionamento di Lai sono sbagliati i presupposti. Se fosse fondato dovremmo avere in Sardegna una situazione di tassi più vantaggiosi e di miglior accesso al credito rispetto ad altre regioni, invece non è così.

“Guardo qualche numero – scrive Pigliaru – e vedo che nei dati Banca d’Italia 2012 il tasso di interesse medio praticato in Sardegna per le imprese imprese è l’8.16% e per i mutui delle famiglie il 4.66%. Molto? Poco? Vediamo. Prendo una regione con un livello di sofferenze bancarie simili a quelle sarde e un reddito pro capite più basso, la Puglia, e trovo questi tassi: 7,94% e 4.49% rispettivamente. Uhm. Poi prendo una regione ancora più povera e con sofferenze decisamente più alte, la Campania, e trovo: 8.13% e 4.60%”.

Questo per quanto riguarda i tassi d’interesse. E l’accesso al credito? “Anche qui – prosegue Pigliaru – le cose vanno tutt’altro che bene. Guardo il dato giugno 2012 della variazione percentuale, su 12 mesi, dei prestiti alle imprese. Sardegna: -5.5%. E la Puglia? -1.6% (e nel 2010 i dati erano -0.7 per la Sardegna e +6.3% per la Puglia). Potrei citare anche i dati della Campania, ma a questo punto immaginate facilmente cosa rivelerebbero. Insomma – conclude l’economista – non sono sicuro che Silvio Lai abbia scelto un terreno particolarmente favorevole per difendere scelte politiche (anzi, partitiche) vecchia maniera”.

In definitiva, la questione della presenza della Fondazione nel capitale del Banco, e soprattutto quella del patto parasociale, il vero nodo dell’intera questione,  resta aperta. E la domanda posta da Parisi e Segni – quale vantaggio ne deriva per la Fondazione? – non ha ancora avuto una risposta.

G.M.B.

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