Fondazione e Pd. Il nodo si chiama “patto parasociale”

Nella lunga intervista che ci ha rilasciato, Arturo Parisi esprime un concetto che nelle democrazia funzionanti è ovvio: l’opinione pubblica deve essere messa nella condizioni di esercitare il controllo sulla politica. E i dirigenti politici non devono ostacolare, al contrario devo promuovere e agevolare, questo processo e difendere questo fondamentale principio. A maggior ragione se appartengono a un partito che, avendo scelto di chiamarsi “democratico”, dovrebbe averlo nel suo Dna.

Purtroppo non succede sempre. Ci sono vicende che si ritiene debbano restare fuori dal dibattito politico. Se ne parla solo tra addetti ai lavori e quando, per qualche accidente, vengono fuori, si tace sperando che la tempesta si plachi. Molto spesso succede. E, anzi, chi insiste a porre domande viene considerato come un petulante ossessivo, animato da qualche secondo fine. Di solito il fine di fare il gioco di questo o di quello. Non ci si rende conto, però, che questo argomento rafforza la necessità della chiarezza e conferma l’inopportunità delle commistioni tra politica e amministrazione. Nello specifico tra politici e banche.

E’ il caso della vicenda delle nomine dei nuovi vertici della Fondazione del Banco di Sardegna e dell’omonima azienda bancaria.

Che la questione sia di enorme rilevanza per l’Isola non c’è dubbio. Stiamo parlano di istituzioni che erogano milioni di euro,
sostengono attività culturali e commerciali, offrono servizi a centinaia di migliaia di cittadini. Istituzioni che acquisiscono maggior peso oggi, in presenza della devastante crisi economica. Tacere sulle vicende del Banco di Sardegna in Sardegna è un po’ come se, a Torino, si tacesse sulle vicende della Fiat.

Eppure è successo e continua a succedere. Nel mondo politico si parla da mesi della possibile nomina del senatore democratico Antonello Cabras alla guida della Fondazione e del passaggio dell’attuale presidente Antonello Arru alla guida dell’Istituto. Ma perché la notizia emergesse in tutta la sua complessità è stato necessario che due politici e intellettuali del prestigio di Arturo Parisi e Mario Segni la segnalassero in una lettera aperta (pubblicata da la Nuova Sardegna).  E che poi sulla questione tornassero Francesco Pigliaru e Guido Melis. Non è però bastato ad aprire un dibattito franco, aperto e, appunto, ‘democratico’. I protagonisti tacciono. Continuano a non rispondere. 

Nella stessa direzione del Pd che si tenuta ieri a Oristano (assente Antonello Cabras), nonostante la quasi-rivolta della base, la questione è stata affrontata superficialmente e, in alcuni interventi, in modo propagandistico. Tentando di accreditare l’idea che tanta riservatezza nasce dal fatto che in questo giro di nomine si gioca la ‘sardità’ dell’Istituto. E che questa spiegazione va accettata a scatola chiusa, pena il consueto delitto di ‘lesa sardità’.

La realtà è che il  problema è molto delicato. E va ben oltre la questione che fino a ora è emersa, cioè l’opportunità che in generale, e a maggior ragione in questa fase politica, si facciano scelte idonee a confermare nell’opinione pubblica l’idea che la politica voglia mettere le mani su tutto. Controllare tutto. E che l’attività di quanti la svolgono non sia un servizio ma una carriera. sospetto che, dicono i critici, sarebbe plasticamente confermato dal passaggio diretto, senza interruzioni, di un senatore del Pd alla guida della Fondazione.

Questo è certamente un aspetto importante della questione. Ma il nodo fondamentale è un altro. Lo si individua attraverso una lettura attenta della lettera-aperta, e lo si ritrova enunciato in modo esplicito nell’intervista di Arturo Parisi. Il nodo si chiama “patto parasociale”.

Riassumiamo in modo schematico (chi vorrà conoscerne i dettagli può andare ai documenti originari) nella convinzione che il ruolo dell’informazione sia esattamente quello di fornire all’opinione pubblica i ‘materiali’ per formarsi un’idea attorno alle scelte di chi amministra la cosa pubblica.

Scrivono Segni e Parisi che nell’ottobre scorso i due soci del Banco di Sardegna, quello di minoranza (la Fondazione) e quello di maggioranza (la Banca popolare dell’Emilia Romagna) hanno sottoscritto un ‘patto parasociale’ che (ribadisce Parisi nell’intervista) prevede una serie di clausole da cui è facile capire il vantaggio per la Bper, uno dei contraenti, ma non si capisce il beneficio per la Fondazione.

Trasferiamo lo stesso concetto alla realtà materiale, dando alle istituzioni coinvolte nell’accordo i nomi dei protagonisti. Viene fuori questo: nell’ottobre scorso la Fondazione del Banco di sardegna, il cui presidente è Antonello Arru, stipulato un accordo svantaggioso con la Banca popolare dell’Emilia Romagna.

Secondo passaggio (esplicitato ancora una volta da Parisi nell’intervista). Mentre sul presidente della Fondazione la Bper non ha voce in capitolo, ce l’ha, eccome, sulla nomina del presidente dell’Istituto. Dunque: nell’ottobre scorso il presidente della Fondazione del Banco di Sardegna ha stipulato un accordo svantaggioso con chi dovrà dire sì o no alla sua nomina al vertice dell’Istituto. 

La sintesi, ne siamo consapevoli, è brutale. Ma è certamente corretta. E aiuta a chiarire perché la questione è tanto delicata. Così delicata che il problema del senatore Cabras diventa quasi secondario e marginale. E il concentrarsi tanto su di esso rischia di diventare un, seppure involontario, depistaggio.

Il nodo è il patto parasociale. E’ su questo punto che deve arrivare la risposta. Ma non quella che viene ‘suggerita’ in modo confuso e propagandistico quando si dice che la posta in gioco è a ‘sardità’ o meno del Banco di Sardegna. Se Parisi e Segni si sono sbagliati, e dunque il ‘patto parasociale’ non è affatto svantaggioso ma era l’unico modo per salvaguardare il radicamento nell’Isola dell’Istituto, allora questo va spiegato, va chiarito.

E’ una vicenda molto sgradevole. Parliamo di personalità stimate che, per quanto ci risulta, hanno operato con equlibrio e con saggezza. A maggior ragione devono chiarire e rispondere.

Di certo la dinamica del dibattito attorno a questa vicenda, dà un argomento ulteriore, e ben più forte delle questioni di ‘opportunità’ relative alla nomina del senatore Antonello Cabras, a chi sostiene che politica e banche vanno tenute a distanza. Perché è stato proprio l’intreccio con le vicende politiche – e con la dinamica delle nomine – a determinare un lettura appunto politica dell’accordo di ottobre tra Fondazione e Bper.

Giovanni Maria Bellu

 

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