Primarie, Ignazio Angioni: “Basta col potere di pochi, voglio un Pd per tutti”

“Uno per molti”. Con questo slogan il senatore Ignazio Angioni è candidato alla segreteria del Pd. Ecco le ragioni della sua corsa.

Uno che sa fare. Ma senza fare tutto da solo. Con questo slogan Ignazio Angioni – classe ’67, senatore dalle Politiche del 2013, dirigente della Legacoop in aspettativa, “figlio di operaio”, ricorda di sé – è entrato in partita per la segreteria regionale del Pd. A sostenere la sua candidatura l’attuale minoranza del partito, ovvero, gli anti-Soru, gli anti-Cabras e gli anti-Fadda che, su tutto, corrispondono ai nomi di Francesca Barracciu e Siro Marrocu. Ma tra gli endorsement pesanti ci contano pure Tore Cherchi, Tore Ladu e Giorgio Macciotta. Insomma, ex Ds quasi al completo più l’area ex popolare. Appoggio anche dai Giovani Turchi di Rifare l’Italia. Si vota il 26 ottobre: corsa a te, con Thomas Castangia e Renato Soru.

Senatore, un lemma della sua campagna elettorale è anche “uno per molti”.

Io non amo gli slogan, ma c’era la necessità di fare sintesi spiegando, con poche parole, le ragioni della scelta che ci ha spinto a metterci al servizio del Pd e della Sardegna. “Uno per molti” non è un messaggio contro qualcuno: semmai esprime la voglia di rappresentare idee di partecipazione, comunità, collegialità e trasparenza nelle decisioni. Abbiamo il dovere di riprendere il confronto con i cittadini.

Nel manifesto politico col quale si sta presentando alle urne, a fare da contraltare al suo essere “uno per molti” c’è l’attacco al “potere di pochi”. A chi si riferisce?

A nessuno in particolare. Di certo, un partito va allargato alla partecipazione dei cittadini, non può essere lo strumento attraverso il quale un ristretto numero di persone raggiunge obiettivi, seppure legittimi.

Se continua a parlare di “pochi” e di “ristretto numero di persone”, a qualcuno starà pur pensando.

Strapparmi nomi è impossibile, non ne faccio. Penso invece che in politica, come nella vita, le stagioni si chiudono. E quelle nuove devono riaprirsi con persone diverse. La Sardegna ha bisogno di gruppi dirigenti che abbiamo nuovi stimoli e siamo capaci di trovare nuove ricette.

Nel suo manifesto politico ha scritto ancora: “Ho scelto di candidarmi perché voglio un partito diverso da come è stato negli ultimi 10 anni”. Cosa contesta?

Intanto dico che per fortuna il Pd è nato. Ed è nato sotto la spinta di una grande scommessa vinta. Ma come tutti i partiti giovani ha ancora bisogno di trovare un suo equilibrio. Il Pd che immagino e voglio non può essere la sommatoria delle forze politiche da cui si è originato, né delle persone che in questi dieci anni lo hanno rappresentato.

Angioni il rottamatore?

La rottamazione è una parola che non mi è mai piaciuta e continua a non piacermi. Anzi: tutti dobbiamo lavorare per una società dove l’esperienza sia un valore che non può essere sostituito dal giovanilismo. Ma nel Pd degli ultimi dieci anni ci sono state sia cose piacevoli che spiacevoli.

Di spiacevole cos’è successo?

Preferirei cominciare dalle buone esperienze, partendo proprio dal 2004 e dal progetto di cambiamento presentato alla Sardegna, per una diversa gestione della Regione. Si è trattato di una scommessa pensata per essere molto proficua, ma si è conclusa nella maniera peggiore possibile.

Intende la sconfitta alla Regionali del 2009?

Mi riferisco anche al dopo sconfitta, cioè alla frammentazione con la quale sono stati gestiti i rapporti con le organizzazioni sociali e le rappresentanze dei cittadini.

Il leader di quel progetto era Soru, uno dei suoi sfidanti alle primarie del 26 ottobre: da governatore uscente lo considera responsabile della mancata vittoria nel 2009?

In quell’esperienza di governo ci sono state sfide alte, come la Vertenza entrate, il Ppr e la riorganizzazione della Formazione professionale. Ma i risultati sono stati decisamente scarsi rispetto alle attese. Non solo: non è mai stata aperta una discussione sulle ragioni della sconfitta. Un grande partito come il Pd non può permettersi il lusso di trascurare l’analisi.

In quegli anni lei dov’era?

Ero un dirigente territoriale dei Ds, uno dei partiti che ha dato vita al Pd. Ma, soprattutto, svolgevo il mio lavoro di cooperatore.

Ha mai chiesto un dibattito sulla sconfitta?

Dove ho potuto dire la mia, ho cercato di stimolare l’analisi. Perché non solo amo il mio partito, ma credo nel confronto costruttivo.

Vuol dire che non l’hanno ascoltata?

Così sarebbe sovradimensionare il mio ruolo: io da appena diciotto mesi ho un incarico istituzionale.

Nel suo manifesto scrive ancora: “Da elettore mi spaventa chi si candida anno dopo anno perché si ritiene indispensabile”. Questa sembra contro Soru.

Invece è riferita a Ignazio Angioni. Dovevo spiegare, innanzitutto a me stesso, le ragioni che mi hanno portato ad accettare la candidatura alla segreteria, dopo che diciotto mesi fa ne avevo accettato un’altra (a senatore della Repubblica).

Come fa a far quadrare le esigenze di rinnovamento col fatto che la sua corsa è sostenuta da pezzi importanti della nomenklatura sarda? E ci sono pure i renziani della prima ora, Gavino Manco e Chicco Porcu.

Bisogna distinguere tra i protagonisti principali e determinanti e i protagonisti non principali. In ogni caso, a me fa piacere che in tanti, al di là dei propri ruoli, si siano schierati a favore di un progetto pensato per dare via a una nuova classe dirigente.

Per protagonisti principali e determinanti si devono intendere Cabras, Fadda e Soru?

Per la mia candidatura a segretario sono stati determinanti gli uomini, le donne, i giovani e i meno giovani, cioè i sardi che sono l’ossatura e la grandezza del Pd.

Un messaggio per Cabras, Fadda e Soru?

Sono persone delle quali provo stima, e loro lo sanno. Ma sono ugualmente convinto che in Sardegna serva un progetto in cui certe persone devono avere un ruolo diverso rispetto a quello per il quale si stanno candidando.

Lei è nel gruppo di quanti pensano che Soru, in caso di vittoria, farà ombra al presidente Pigliaru?

Pigliaru ha iniziato un lavoro difficile e lo sta portando avanti con determinazione. Non credo proprio che si presterà a diventare uno strumento nella mani di qualcuno. Il Pd, semmai, avrà il dovere di creare le condizioni perché la Giunta si esprima al meglio e non mettere in atto condizionamenti che possano indebolirla.

Rispetto a lei e a Soru, Castangia è il solo candidato che è davvero lontano dalla nomenklatura, forse il solo che può giocare la carta del rinnovamento. È d’accordo?

Castangia dovrebbe definire la propria posizione rispetto al rapporto con l’area civatiana, della quale fa parte e che in questi giorni a livello nazionale sta valutando la possibilità di dare vita a una forza politica diversa dal Pd. Non fosse altro che in Sardegna ci stiamo candidando a guidare il Partito democratico.

Quanto ci crede in una sua vittoria?

Io penso che pure con questo congresso il Pd possa vincere la sfida, se si sarà capaci di una proposta nuova, nelle persone e nei contenuti.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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