Arpas, lo stipendificio che non controlla l’ambiente

Un’azienda che riceve contributi pubblici per oltre trenta milioni all’anno, con un organico di circa trecento dipendenti e ben 44 tra direttori e dirigenti in carica. L’Arpas, istituita nel 2006 con una legge regionale e in piedi dal 2008, ha il compito di svolgere monitoraggio e controlli sull’ambiente in tutta la Sardegna. Un servizio preziosissimo per i cittadini, una vita aziendale travagliata. Segnata, tra l’altro, dalla nomia di un direttore generale,  Ignazio Farris, costretto a dimettersi nel 2010 perché il suo nome saltò fuori all’interno dell’inchiesta sulla P3, in cui è coinvolto anche il presidente Ugo Cappellacci (rinviato a giudizio per abuso d’ufficio).

A distanza di otto anni ci si chiede, vicende giudiziarie a parte, se l’Arpas svolge effettivamente il suo compito istituzionale.

A partire dai controlli sull’inquinamento. In base alla legge istitutiva, infatti, Arpas ha il compito di verificare gli impianti industriali presenti in tutto il territorio isolano e rilasciare gli attestati di conformità alle autorizzazioni integrate ambientali (AIA) che garantiscono il buon funzionamento delle strutture e il controllo del loro impatto ambientale. 

Per questo servizio ogni anno circa ottanta aziende isolane sono obbligate a versare all’Arpas una sorta di tassa anticipata che va dai 1500 ai 3500 euro (le tariffe sono fissate dal Ministero per l’Ambiente, così come l’obbligo di sottoporsi ai controlli) ma  nel 2013 solo pochi impianti hanno ricevuto la visita dei tecnici Arpas e lo stato delle emissioni inquinanti nell’isola non è di fatto verificato.

L’azienda che dovrebbe controllare la salute di aria e acqua in tutta la Sardegna avrebbe quindi incassato i tributi (si parla di 250mila euro, secondo il bilancio di previsione 2013) per svolgere analisi e verifiche in maniera a dir poco marginale, come sostenuto durante una delle ultime riunioni del coordinamento del comitato Ippc, cioè dai rappresentanti di Regione, Province e Arpas. L’ultima assise a novembre, per parlare, tra le altre cose, dell’attività di controllo dell’Arpas negli impianti soggetti ad AIA. Ed ecco il risultato, secondo gli addetti ai lavori: dati ambientali carenti, ispezioni limitate, documentazione incompleta e controlli non validati.

Dov’è lo stallo? Perché un’azienda di trecento persone che costa trenta milioni all’anno non riesce a svolgere i controlli di routine per cui è stata creata? Secondo Giorgio Tore, direttore del dipartimento geologico Arpas, l’azienda non riesce a far fronte a tutti i controlli sugli impianti per carenza di personale e mancanza di formazione: lo ha sottolineato proprio durante la riunione del novembre scorso, confermando una situazione già nota in precedenza.

Di certo le  carenze nelle attività di controllo sono gravi. Soprattutto nel Nuorese come ha sottolineato durante l’incontro Cecilia Sotgiu, dirigente della Provincia: mancano completamente i dati delle emissioni ambientali, nessuno ha mai analizzato l’inquinamento causato dagli impianti del territorio nell’atmosfera, non esiste ad esempio un quadro storico emissivo per l‘inceneritore di Tossilo o l’impianto di Ottana Polimeri. Stessi problemi anche nel territorio di Cagliari evidenziati da Fabio Balestrino, rappresentante della Provincia, con controlli carenti e mancate risposte da parte di Arpas, idem nella Provincia di Sassari e in quella del Medio Campidano.

C’è poi la questione della trasparenza: benché a partire dal 2013 le pubbliche amministrazioni siano obbligate per legge a mettere in rete le informazioni sulla propria attività, oggi solo una parte dei documenti Arpas è consultabile. Nella sezione “Amministrazione Trasparente” sono tante le pagine “in corso di adeguamento”.

La storia recente di Arpas è costellata di nomine: di direttori, dirigenti, commissari straordinari. E da consulenze varie, oltre che da revoche di incarichi e riorganizzazioni amministrative. Arpas può contare su un direttore generale, Bruno Simola, un direttore amministrativo e uno tecnico scientifico, e un sistema di ben 44 dirigenti sparsi per la regione con stipendi che vanno da 61 a 118mila euro all’anno, per una spesa totale di circa 473mila euro solo per le dirigenze.

Il costo del personale incide sull’azienda circa 21 milioni di euro l’anno. E a questo vanno aggiunte le spese per le consulenze e altre varie prestazioni professionali. Per esempio, Antonio Nicolò Corraine, ex dirigente della stessa azienda ed ex commissario straordinario, è stato nominato come delegato del datore di lavoro nel 2012 e riconfermato fino ad oggi, nonostante nell’organico ci sia già un direttore del servizio Prevenzione e Sicurezza. Per l’incarico di Corraine, molto vicino a Giorgio Oppi,  sono stati impegnati quasi 84mila euro tra stipendio e spese viaggio fino al 2015, mentre nel complesso delle consulenze esterne l’Arpas investe annualmente 850mila euro. La gestione del personale e della struttura è uno dei principali punti contestati al direttore generale Simola, che secondo la Cgil, sarebbe responsabile di voler soffocare l’azienda e il suo buon funzionamento con provvedimenti discrezionali e contraddittori.

Tra gli ultimi atti rimproverati a Simola c’è la nomina del direttore del dipartimento di Gallura e dei suoi due direttori di servizio: tre alte figure amministrative per una struttura che esiste solo sulla carta, visto che non ha nemmeno una sede. Di più: non ci sono neppure i dipendenti. I tre professionisti, insomma, coordinano se stessi.

Francesca Mulas

 

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