Per finanziaria gli incentivi alle energie rinnovabili (Fer), i sardi pagano ogni anno una media di 350 milioni. Con un paradosso: l’85 per cento degli impianti che si contano nell’Isola – tra eolico, fotovoltaico e biomasse – appartengono a società “continentali”.
La storia della contraddizione tutta sarda è scritta nel report che la Direzione regionale del Pd, convocata l’altro giorno a Oristano, non ha votato per mancanza di numero legale. Ma al netto della polemica politica (Soru ha deciso la linea del massimo rigore contro le troppe assenze), i numeri relativi all’energia verde racchiudono una serie di storture gestionali e programmatiche che in Sardegna andranno corrette.
I 350 milioni di spesa annua formano la cosiddetta voce A3 della bolletta elettrica. Si tratta di una piccola tassa (crica 3,5 centesimi per kilowatt) imposta dallo Stato per finanziare il Programma nazionale di sviluppo delle Fer, scaricando sui contribuenti gli incentivi destinati alle aziende che hanno investito nel settore delle rinnovabili. E si tratta di sussidi superiori “fino a quattro volte al valore di mercato dell’energia prodotta”.
Il business non finisce qui: il flusso totale degli incentivi che si ricava dalle rinnovabili attive in Sardegna è pari a una media di 550 milioni annui. Ma di questi, solo 80 milioni restano a quel 15 per cento di imprese isolane operative.
Da qui una prima conclusione scritta nel report Dem, con relatore l’ex consigliere regionale Chicco Porcu. “Lo sviluppo delle Fer – si legge – è avvenuto soprattutto attraverso grandi impianti, in totale contraddizione con la natura diffusa delle energie rinnovabili e orientata all’autoconsumo”. Nel Pd parlano di “occasione perduta per l’economia sarda“, anche perché “le Fer sono andate a sovrapporsi, anziché a sostituirsi, con le vecchie centrali termoelettriche a carbone”. Risultato: “La Sardegna risulta essere un grande produttore di energia verde, ma la quasi totalità della potenza complessiva ricavata viene esportata per essere rivenduta fuori dalla Sardegna”.
È su questa contraddizione che poggia il record negativo delle emissioni prodotte nell’Isola, pari a 700 grammi di kilowattora contro una media nazionale di 400. Non solo: dal ’90 a oggi, le quantità di biossido di carbonio sono cresciute del 60 per cento, passando da 6,3 milioni a 10 milioni”.
La risposta a questi dati sarà certamente scritta nel nuovo Piano energetico ambientale regionale (Pears) in fase di elaborazione. Il Pd, col suo report Sardegna carbon free 2040, ha indicato una strada prevedendo un percorso per produrre, entro i prossimi trentacinque anni, l’elettricità senza utilizzare più i combustibili fossili. Tanto che – per tornare alla polemica politica – dentro lo stesso Pd ci sono pezzi di partito che considerano un doppione il documento Dem.
Porcu, da relatore del report e sulla base dei dati, dice: “La Sardegna deve aprire con Roma la Vertenza Energia. Vuol dire concordare per il futuro una diversa distribuzione degli incentivi, visto che sono sardi il sole e il vento diventati business”.
Al. Car.
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