Covid-19, cassaintegrazione con beffa: per gli artigiani scatta una tassa extra

Un’assurdità. Un paradosso. Una beffa. Tutto scritto nella circolare esplicativa del 28 marzo con la quale l’Inps, d’accordo con le associazioni di categoria, ha fissato le regole per accedere alla cassaintegrazione in deroga. Il pacchetto economico l’ha previsto il Governo per fronteggiare la paralisi produttiva seguìta alla pandemia di coronavirus, ma per gli artigiani sta scattando il pagamento di una tassa extra. Un balzello che in alcuni casi rischia di essere persino un doppione.

Il caso l’hanno sollevato un gruppo di aziende sarde. Il casus belli è contenuto alla lettera D, punto 1 (e seguenti) della circolare esplicativa. Per le imprese del settore che chiedono la cassaintegrazione in deroga è richiesto l’obbligo di versare le quote al Fondo di solidarietà bilaterale per l’artigianato (Fsba). La beffa sta nel fatto che l’iscrizione al Fondo non solo non è mai stata obbligatoria, ma prevedeva come alternativa il pagamento di una somma compensativa da inserire direttamente in busta paga e pari a 25 euro mensili a dipendente.

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Adesso, con la Cig del Covid-19, l’Inps – su sollecitazione delle associazioni di categoria (Cna e Confartigianato su tutti) – ha imposto il pagamento obbligatorio e retroattivo delle quote. L’ammontare richiesto è così diviso: le aziende già iscritte all’Fsba ma morose devono versare tutti gli arretrati, sino a trentasei mesi precedenti, pagando l’intera quota mensile non versata per ciascun dipendente. Per coprire il debito si può utilizzare una linea di credito, a tasso zero, da aprire presso la Sfirs regionale. Invece: le aziende artigiane che hanno già versato i 25 euro ai lavoratori devono comunque mettersi aderire all’Fsba, ma con lo sconto. Nel loro caso l’accesso alla cassaintegrazione del Covid-19 è vincolato al pagamento della parte variabile della contribuzione, pari allo 0,60 dell’imponibile retributivo. Sempre con effetto retroattivo di trentasei mesi.

Quello che viene fuori è un pasticcio. In entrambi i casi. Infatti: proprio adesso che le imprese stanno accedendo alla Cig in deroga perché sono in piena crisi, le associazioni di categoria hanno ottenuto il saldo delle morosità. E si tratta di somme importanti, visto il momento. Per le imprese che hanno già versato la misura alternativa all’iscrizione al Fondo, il paradosso è che si sta imponento un pagamento-doppione. Alla fine il vantaggio è solo per le associazioni di categoria che, a fronte di soldi pubblici concessi, si ritroveranno col Fondo di solidarietà rimpinguato. Ovvero battono cassa gisuto quando le aziende chiuse rischiano di affondare.

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Tra gli artigiani dell’Isola monta la protesta. Prima di tutto contro le stesse associazioni di categoria, le quali rivendicano le quote arretrate sostenendo che l’Fsba eroga “prestazioni di fondamentale importanza per il comparto, specie durante le crisi aziendali”. È però intollerabile, a sentire le imprese, che la richiesta arrivi proprio in un momento così difficile per l’economia regionale e nazionale, in cui si stima una riduzione del Pil sino a dieci punti. Una beffa appunto, che non potrà non avere strascichi anche per il tramite di commercialisti e consulenti di lavoro.

Nell’Isola, le domande di accesso alla Cig in deroga per il settore artigiano saranno gestite dall’Ebas, l’Ente bilaterale artigianto Sardegna, cui spetterà elaboare le pratiche. Facendo da testa di ponte tra le imprese e l’Inps. Una soluzione, questa, che da un lato allegerisce il carico di lavoro per l’Istituto nazionale di previdenza, ma dall’altro assicura all’Ebas stesso il controllo dei versamenti all’Fsba. Un abito sartoriale che non tiene per niente in considerazione la drammaticità della congiuntura economica. (al. car.)

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