Mina Welby a Cagliari, appello per il testamento biologico: “Legge di civiltà”

Trasformare un dramma personale in una questione pubblica, portare la sofferenza sotto i riflettori, parlare, spiegare anche quando si vorrebbe tacere, farsi carico delle difficoltà di migliaia di persone mentre si preferirebbe, invece, un po’ di silenzio sul proprio dolore: è una situazione che Mina Welby, moglie di Piergiorgio, artista e scrittore morto 11 anni fa per distrofia muscolare (e dopo una dura battaglia sul tema del fine vita) ha vissuto in prima persona. “Ho avuto tanti dubbi su come io e Piergiorgio abbiamo affrontato la sua malattia e la richiesta di interrompere le cure che lo tenevano in vita. Oggi so che abbiamo fatto la scelta giusta: parlare in pubblico della nostra situazione era un dovere da compiere fino in fondo”. Grazie a questa e ad altre storie simili oggi in Parlamento esiste, finalmente, una proposta di legge sul fine vita in via di approvazione. Ma con un dilemma: i tremila emendamenti al testo rischiano di bloccarla ancora.

Mina, diminutivo di Wilhelmine, 80 anni, di Bolzano ma vissuta a Roma insieme al marito, è oggi a Cagliari per l’incontro ‘Una legge sul fine vita è possibile: la nostra petizione per aiutare l’approvazione definitiva del BioTestamento al Senato’, in programma alle 18 nella sala convegni della Fondazione Sardegna (Via San Salvatore da Horta 2) organizzato dalla Fondazione Walter Piludu e dai Radicali Cagliari. La serata è stata voluta per riflettere ancora sulla proposta di legge “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” approvata alla Camera e ora in esame al Senato e per presentare una petizione sul tema in Consiglio regionale. 

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“La legge sul testamento biologico deve essere approvata subito. Non è una questione politica che appartiene a pochi, ma una legge di civiltà e diritto per tutti – ha sottolineato Mina, che pochi mesi fa ha anche lanciato un appello per chiedere che vengano cancellati i tremila emendamenti alla proposta di legge e che l’iter venga concluso al più presto – le storie che ben conosciamo, da Piergiorgio a Eluana Englaro, da Walter Piludu a Fabo ci ricordano che non possiamo permetterlo”.

Mina Welby da vent’anni conduce in prima persona una battaglia per il diritto alla dignità dei malati e la libertà di scelta davanti alla morte. Insieme al marito, ammalato di distrofia muscolare, ha portato all’attenzione mondiale il dramma di chi vorrebbe avere il diritto di interrompere terapie e staccare le macchine che tengono in vita pazienti sofferenti e senza speranze di guarigione. Un dramma vissuto insieme giorno dopo giorno, da quando il male di Piergiorgio si è fatto sempre più invalidante costringendolo a una tracheotomia e a un respiratore artificiale. Nel 2002 Welby aprì su internet un forum sull’eutanasia: grazie a questo fece conoscere la sua storia ed entrò in contatto con altri malati e soprattutto con il partito dei Radicali, Marco Pannella ed Emma Bonino, e con l’associazione Luca Coscioni, che si fecero portavoce delle sue richieste e di una riflessione sul testamento biologico. Nel 2006 Piergiorgio Welby chiese ufficialmente il diritto a morire: scrisse all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che rispose auspicando un confronto politico sull’argomento. Piergiorgio Welby morì il 20 dicembre 2006, l’anestesista Mario Riccio gli somministrò un sedativo e spense il respiratore meccanico. In seguito il medico è stato prosciolto dall’accusa di omicidio.

Da quel momento Mina porta in giro per l’Italia la sua testimonianza personale e aiuta altre persone in situazioni simili grazie anche all’associazione SosEutanasia; pochi mesi fa ha accompagnato Davide Trentini, malato di sclerosi multipla, in una clinica svizzera per il suicidio assistito, come aveva fatto anche Marco Cappato con dj Fabo a febbraio. Le norme in discussione al Parlamento italiano non riguardano il suicidio assistito ma le disposizioni anticipate di trattamento che ogni persona può prevedere per sé in caso di gravi malattie.

“Quella in discussione al Senato è una buona proposta, che protegge medico e paziente e tutela i diritti alla libertà del malato. Dalla morte di Piergiorgio a oggi la sensibilità del paese è profondamente cambiata: prima questi temi interessavano solo gli anziani, oggi vedo tanti giovani coinvolti nel dibattito, associazioni, scuole, studenti. In ambito universitario si fa sempre più forte la necessità di avere dei corsi per i futuri infermieri e medici, soprattutto per il dialogo tra malati e personale sanitario: il tempo speso a comunicare con i pazienti non è tempo perso ma fa parte della cura, e l’art. 1 della legge, il ‘Consenso informato’, parla proprio di questo.  Non vedo neanche più un divario così forte con il mondo dei credenti”. La Chiesa cattolica in tutta questa vicenda ha avuto un ruolo forte: a Piergiorgio fu negato il funerale in chiesa, come avrebbe desiderato, perché la volontà di morire era in “contrasto con la dottrina cattolica”, come dichiarò il vicario generale per la diocesi di Roma, cardinal Camillo Ruini. Per lui venne celebrato un grande funerale laico in piazza, a Roma, a cui parteciparono migliaia di persone.

“Ho vissuto una grande sofferenza, la stessa che oggi mi da la forza di continuare. Se anche la legge sarà approvata il mio lavoro non si fermerà qui. Dobbiamo impegnarci sul fronte delle cure palliative, che oggi sono garantite solo dal 30% delle strutture; e poi in Sicilia stiamo lavorando per la costruzione di una rete di volontari e medici proprio sul fronte delle cure palliative. Ci sono persone che hanno bisogno di aiuto, informazione e consigli, di capire come muoversi, di conoscere i loro diritti. Si, c’è ancora tanto da fare”.

Francesca Mulas

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